Niente da fare nemmeno per Boris – il film. Il botteghino italiano crolla miseramente con il primo sole primaverile e gli spettatori fuggono per lunghe scampagnate. Soliti pianti di esercenti e distributori. Cerchiamo, però, di mettere ordine.
In primo luogo, la primavera è momento delicato per tutte le industrie cinematografiche. Se si fa attenzione, si nota che nessun film veramente importante esce dopo gli Oscar e prima di Cannes, a meno che sia un lancio nazionale verso la Croisette (da noi Habemus Papam di Moretti, per esempio, previsto per il 15 aprile). Ciò accade perché i primi caldi svuotano le sale ovunque.
In secondo luogo, come abbiamo già detto, il 3D è precipitato in pochi mesi. O meglio, non si va più a vedere un film in quanto 3D ma si va a vedere un 3D solamente se si pensa che lo meriti. Che Rango e Hop siano usciti in 2D la dice lunga.
In terzo luogo, c’è una povertà momentanea di immaginario. Ed è la cosa più interessante (e inquietante). Anche in America non sanno che pesci pigliare. I film che hanno avuto successo appaiono poco replicabili (non può esserci un “filone” di cigni neri o di discorsi del re, non sono prototipi, sono apax legomenon). Il cinema spettacolare arranca, poiché i supereroi a detta di tutti volgono al termine, i franchise più celebrati stanno stancando, i film per bambini sono troppo numerosi, e gli altri generi – dall’action al melodramma, dall’avventura al comico demenziale –si sono visti esautorati dalle serie Tv.
Insomma, il cinema come spettacolo è sopravvissuto in questo decennio, smentendo i profeti di sventura, ma paradossalmente non ha (almeno ora) pellicole con cui costruire immaginari. Avatar sembra aver – più che stimolato la ripresa – rappresentato un effetto-Viagra dopo il quale la presenta esuberanza del cinema 2.0 è frettolosamente scomparsa.