Piccolo racconto autobiografico. Un padre cerca di recarsi al cinema con sua figlia di sei anni. Non lo può fare da tempo, poiché dopo Pasqua e dopo Rio, di fatto non sono usciti film adatti all’età. Il padre si chiede per quale ragione maggio sia stato considerato un mese per adulti, e intanto – mentre gli incassi languivano e gli esercenti bestemmiavano – la sua sorpresa cresceva.
E si chiedeva: in quale paese esiste una domanda frustrata (“dateci almeno un film per bambini”) e un’offerta frustrata (“dove è finito il pubblico”)? Perché queste due entità non si incontrano? Quale incredibile calcolo devono aver fatto i distributori, dopo aver intasato le sale di pellicole identiche nei mesi precedenti, per decidere che la primavera non è un periodo per bambini? Vanno al parco? Arriva il sole? Pensano ad altro?
Ma ecco, finalmente spunta UN film, almeno UNO. È Garfield. Tutti accorrono, con figlioletti a carico, approfittando delle piogge di fine primavera. Biglietto interissimo, col 3D poi anche a 11 euro nei multiplex. Risultato: un patetico e pacchiano megaepisodio di Garfield truccato da lungometraggio e buttato in sala credendo di prendere per il naso i piccoli spettatori, che invece come noto possiedono assai più gusto dei grandi. Il film dura, titoli esclusi, 64 minuti, meno di uno straight-to-dvd qualsiasi, meno di un Trilli o di una Valle Incantata qualunque (i genitori sanno di che cosa parlo), meno di un buon cartoon-collage su Sky, come per esempio le avventure di Scooby-Doo montate insieme per raggiungere i 70 minuti.
Si dirà: che c’entra la durata? Conta la qualità. Appunto, visto che tutto il resto – qualità compresa – offre la sensazione di uno scarto in video inciampato in sala, vale la pena ricordare ai distributori due cose. Uno: andare al cinema, oggi che abbiamo almeno cinque canali free per bambini sul digitale terrestre (non parliamo poi del satellite) e dvd a 2 euro negli scatoloni dei supermarket, necessita di uno spettacolo adeguato. Due: una volta che si rifila una fregatura da furbastri della prima visione, né i genitori né i bambini ci ricadranno una seconda. Soprattutto i bambini, che sono gli spettatori del futuro.
Dunque, il panorama distributivo italiano rimane provinciale e grottesco. La prima, vera causa della disaffezione alla sala.