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Inside Job

giovedì 23 Giugno, 2011 | di Chiara Checcaglini
Inside Job
Inediti
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Voto autore:

DVD – USA 2010

Tutto cambia niente cambia?
Il documentario che ha vinto l’Oscar 2011, prodotto e realizzato dal milionario Charles Ferguson, è un film imponente e corposo, che per il soggetto così rilevante – la crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti, e di conseguenza il mondo intero, alla fine degli anni Zero – rientra nella categoria dei documentari in cui il contenuto è predominante sul linguaggio formale.

Eppure centra l’obiettivo di spiegare dettagliatamente l’inspiegabile, e nonostante le due ore piene di durata, lo fa con un buon ritmo, sicuramente aiutato da una coinvolgente colonna sonora.

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Giustamente, una materia di tale complessità deve essere coadiuvata da una struttura filmica forte e precisa: dopo un inizio dislocato in Islanda, e un’efficace presentazione dei protagonisti (identificati dalle loro stesse battute, spesso molto rivelatrici), la narrazione si sviluppa per capitoli in ordine praticamente cronologico. A partire dalla crisi del ’29 e dalle condizioni che all’epoca resero possibile la lenta ripresa, viene individuata nella deregulation introdotta da Reagan all’inizio degli anni Ottanta l’origine da cui uno dopo l’altro sono scaturiti i comportamenti criminosi del mondo della finanza. Da allora il rifiuto di regolamentare con tetti e limitazioni il mercato da parte degli organi competenti è stato sistematico e trasversale, indipendentemente dal Presidente in carica. Senza alcun tipo di controllo, e con la totale complicità tra banche, istituti finanziari, agenzie assicurative e governo (in cui molti CEO di banche e società hanno rivestito e rivestono cariche politiche) si è diffuso fino al 2006 un mercato basato su guadagni immediati per i creditori e altissimi tassi di rischio, i cui strumenti principali sono stati i derivati e le obbligazioni CDO sopravvalutate dalle agenzie di rating combinati al disprezzo di ogni ragionevole prudenza.

Inevitabilmente schockante la totale assenza di scrupoli e l’imperterrita negazione dell’evidenza di gran parte dei coinvolti intervistati. Ferguson si spinge a rintracciare le responsabilità nell’ambito accademico, tra quei pensatori ed economisti che a suon di milioni di dollari hanno apertamente sostenuto e appoggiato il progredire della politica economica statunitense, avallando invece che evidenziando la “distorsione” esponenziale su cui si è fondata.
Ricostruisce con precisione la consapevole discesa verso il disastro, ben attento a individuare le responsabilità dei singoli e mappando una rete di rapporti e di favori reciproci che risultano principalmente fondati sulla pura avidità, sul desiderio di moltiplicare a dismisura i propri averi, ben oltre l’idea di ricchezza e lusso, in un processo che pare assumere caratteristiche patologiche al pari dell’abuso di droghe o della febbre da gioco d’azzardo. Niente e nessuno si salva, tranne i pochi che nel corso degli anni hanno più volte dato l’allarme, rimanendo inascoltati.
Arriviamo così al presente, dove si raggiunge forse il livello di cupezza maggiore quando vediamo che il vento del cambiamento di cui Obama si è fatto portatore nella campagna elettorale, si è improvvisamente placato nei fatti: tra i componenti del suo governo ritroviamo Larry Summers e Ben Bernanke, tra i principali colpevoli della degenerazione finanziaria.
Un film importante, che fa il punto su un momento storico già più volte raccontato (pensiamo a Moore e Capitalism: A Love Story) ma mai in modo così completo e chiaro, con un punto di vista profondamente americano che non si fa illusioni nei confronti dello status quo politico, ma ripone in qualche modo la speranza nei cittadini e nella voglia di cambiamento che emerge tanto più forte quanto più la situazione è disperata. E a noi italiani del 2011 questo non può che ricordare qualcosa.

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