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Io sono Li

lunedì 26 Settembre, 2011 | di Filippo Zoratti
Io sono Li
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Lost in Translation
Ci sono una cinese, un croato e un veneto, a Chioggia. Sembra l’incipit di una barzelletta, e invece è il delicato e agrodolce racconto di un’integrazione. O meglio, di un tentativo di integrazione.

Shun Li lavora in una sartoria a Roma, e la sua sembra una vita a perdere: mescolata in mezzo al formicaio degli altri operai anonimi non vede, non sente e non parla. Basta però scalfire appena la superficie per scoprirne sentimenti e tormenti, legati alla lontananza della famiglia lasciata là, in Cina. Li vuole (e deve) ripagare il suo debito, per ricevere la tanto agognata “notizia”: la possibilità di rivedere il figlio, che solo a quel punto potrà raggiungerla. La giovane donna passa dalla capitale a Chioggia, per lavorare in un’osteria affacciata alla laguna. È un indiscutibile ordine del “padrone”, poco importa che lei non abbia mai fatto la cameriera. Di Io sono Li s’è parlato come del “miglior film italiano visto a Venezia 68”; impresa non ardua, data la pochezza dell’annata (Gaglianone, Comencini, Patierno e Gipi stanno a guardare). Più realisticamente, si può dire che se non altro la prima opera “a soggetto” del documentarista Andrea Segre abbia dalla sua l’inestimabile pregio di offrirsi agli occhi dello spettatore ponendo condivisibili domande, invece di imporre presuntuose risposte. Nonostante capisca la metà di ciò che le accade attorno, Li (l’attrice è Zhao Tao, moglie e musa del regista Jia Zhang-ke) cerca l’integrazione con le “mosche da bar” del luogo. E la trova grazie alla disponibilità del marinaio Coppe e soprattutto alla confidenza e condivisione che si instaura col pescatore slavo Bepi. Ma esistono inserimento e contaminazioni quando gli esseri umani vengono visti unicamente come forza lavoro? C’è spazio per amore e solidarietà se le differenze culturali diventano per lo sguardo xenofobo e limitato della provincia solo una minaccia? La regia di Segre, la fotografia di Luca Bigazzi e le musiche di François Couturier sfiorano la poesia, cercando di mantenere un tono morbido e sussurrato. Anche a forza, quando la storia sembra prendere una inevitabile piega didascalica. Tuttavia è indubbio che la cinematografia italiana – per quanto di matrice documentaristica e borderline – inizi timidamente ad affrontare la questione sociale dell’immigrazione asiatica. Manca un po’ di coraggio, forse, perché lirismo e inquadrature “in punta di cinepresa” possono anche essere paraventi dietro cui proteggersi. Ma il sasso è stato lanciato, e non è un caso che nello stesso weekend anche un’altra pellicola distribuita in sala (Mozzarella Stories di Edoardo De Angelis) affronti – seppur con stilemi completamente differenti – le medesime tematiche.

Io sono Li [Id., Italia/Francia 2011] REGIA Andrea Segre.
CAST Zhao Tao, Rade Serbedzija, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Roberto Citran.
SCENEGGIATURA Andrea Segre, Marco Pettenello. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MONTAGGIO Sara Zavarise. MUSICHE François Couturier.
Drammatico, durata 100 minuti.

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