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Incontro con Zapruder Filmmakergroup

giovedì 29 Marzo, 2012 | di Martina Farci
Incontro con Zapruder Filmmakergroup
Festival
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filmforum, Udine-Gorizia 20-29 marzo 2012

Abbiamo inventato di trovare…
Nadia Ranocchi, David Zamagni e Monaldo Moretti, ovvero il Zapruder Filmmakersgroup sono stati ospiti di due dei seminari dedicati agli autori del cinema italiano contemporaneo.

Il gruppo nasce nel 2000 e il loro primo film si intitola Spring Roll, girato in Super8. Fin da subito viene evidenziata la loro voglia di sperimentare, producendo film stereoscopici e pellicole che non rispettano il classico standard cinematografico. Le loro opere si mescolano fra arti figurative, performative e cinematografiche.
I tre autori hanno presentato e discusso quattro dei loro lavori: All Inclusive (2010), Daimon (2005) e i cortometraggi Suite (2011) e The Hypnotist Dog (2011).
I film sono girati in formato stereoscopico; gli autori si sono trovati quasi per caso a lavorare con la terza dimensione, anche perché il budget è sempre molto limitato e si devono fare delle scelte. La stessa Nadia Ranocchi afferma che una volta finito il soggetto, “entrano in ‘scena’ tutte le altre componenti, dalla macchina da presa alla sceneggiatura”. Per loro si tratta sempre di una sfida. Cosa successa anche per il cortometraggio Suite. David Zamagni ha confessato che durante le riprese all’interno della palestra, dove si è svolto l’incontro di ping pong, hanno trovato una porta con dietro una cappella e quindi si sono ritrovati a riscrivere la sceneggiatura. Ma Suite è anche un concerto per tennis da tavolo e organo, in collaborazione con il musicista Francesco “Fuzz” Brasini.
Le loro opere, quindi, vengono classificate in più modi, da performance a film in puntate, da installazione e lungometraggio. E quest’ultimo è sicuramente rappresentato da All Inclusive. L’opera, insieme a Joule (2010), fa parte del progetto “Chiavi in mano”, che indaga il territorio del lavoro, visto come sacrificio.
All Inclusive racconta una storia che “abbiamo inventato di trovare”. Sembra quasi che non l’abbiano scritta loro, la narrazione non è precisa, manca appositamente qualche tassello. E l’aver studiato il maestro della suspance Alfred Hitchcock non può che vedersi. Ma questa volta le carte vengono scoperte fin dall’inizio. Ad aumentare la tensione ci sono, però, sia il bianco e nero sia alcuni effetti tecnici. Come ha spiegato il direttore della fotografia Monaldo Moretti (spesso anche nel ruolo dell’attore) viene usato solo un piano a fuoco, gli altri sono fuori fuoco. Quindi il più delle volte all’interno dell’inquadratura si vedono oggetti o personaggi sfuocati. Ma sono dei limiti tecnici che si sono dati loro stessi, mantenendo sempre però il fuoco fisso nelle immagini in movimento, a discapito della narrazione. Il film non è stato girato in presa diretta, ma è stato doppiato dai protagonisti stessi in studio (cosa che avviene comunque in tutte le loro opere).
Un altro elemento importante è la scenografia. Questo film è uno dei pochi che hanno girato in uno spazio dato, una colonia anni ’30, mentre nella maggior parte dei casi ricostruiscono le scene all’interno dello studio. Come avviene anche in Daimon e The Hypnotist Dog. Anche queste due opere sono state raccontate dai tre autori, in particolare a come sono nate.
Daimon lo hanno definito il loro lavoro stereoscopico più selvaggio, la narrazione procede per somma di immagini. Inizialmente era nato come tanti piccoli film, che poi sono stati uniti e hanno dato vita a quest’opera, presentata al Festival di Venezia nel 2009. Ma si tratta soprattutto di una biografia a puntate, immaginaria, di Georges Bataille. Perché “Bataille è il primo che dà poche informazioni, è come lavorare con qualcosa che ti si rompe in mano”. Infine, parlando di The Hypnotist Dog, hanno rivelato che nulla coincide. Il protagonista è in realtà una donna e il cane, Oscar, una cagna. Hanno rifatto, a modo loro, la storia di un cane che girava l’Europa ipnotizzando la gente.
In conclusione si è trattato di un incontro, una chiacchierata, molto piacevole, che ha permesso ai presenti di comprendere il significato di alcune loro opere, di apprezzarle, ma soprattutto di vederle.

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