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To Rome with Love

lunedì 23 Aprile, 2012 | di Paola Gianderico
To Rome with Love
Speciale
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From Woody without love
Le cartoline probabilmente devono essersi mescolate allo smistamento delle poste italiane, perché si fatica a riconoscere quale sia la città che chiude il tour europeo di Woody Allen.

Se Midnight in Paris ci restituiva l’âge d’or e l’immaginario artistico-culturale di una Parigi da sogno, le architetture e i parchi londinesi facevano da sfondo alla parabola thriller (una delle più ispirate nella carriera del maestro), e Javier Bardem teneva alto l’onore della peccaminosa Spagna, con l’Ode a Roma l’incantesimo si spezza.
Non è l’Italietta sguaiata e pacchiana che Sofia Coppola omaggia in Somewhere, né il paese (un tempo Bel) che crisi e precariato hanno reso meno gioioso ed ospitale. Non è la Roma caciarona delle osterie e degli stornelli, delle manifestazioni, del traffico, delle monetine lanciate qualche volta verso una fontana e qualche volta sul tettuccio di un’auto blu. Non è la Roma in perenne odore di santità, né per fortuna la città che i lucchetti hanno incoronato meta delle cotte adolescenziali. Non è nemmeno la Roma accattona delle borgate, e il dialetto è praticamente inesistente, accennato nella bocca di un vigile urbano pessimamente doppiato (malgrado Pannoffino), spettro offensivo dell’Albertone nazionale, e di un uomo in canotta affacciato al balcone. Finalmente si direbbe una Roma glamour, se non fosse che a popolarla sono per lo più americani di passaggio. A darci indicazioni stradali che si tratti realmente di casa nostra, oltre ai pochi scorci monumentali (mai così scarsamente suggestivi), sono la éscort Penelope Cruz, in rappresentanza del mestiere più esportato all’estero ultimamente, e gli spottoni all’Alitalia e alla polpa Mutti (non la Cirio, perché quella è già usata dai francesi nella pubblicità fiera degli stereotipi, secondo cui è sufficiente cavarsela ai fornelli per potere affermare, come Gérard Depardieu, di tenere “o’ cuore italiano”).
I fasti imperiali, lo splendore italico della stagione umanista e rinascimentale, rimangono affidati solamente alle intenzioni del titolo originale, Nero fiddled, del primo Bop Decameron, della scelta nel cast di Roberto Benigni, vate ufficiale del Sommo Poeta, e del nome, Michelangelo, assegnato ad un perfetto esempio di scultura vivente ricalcata sui canoni classici del modello greco-latino (Flavio Parenti). In compenso, il furore risorgimentale fa la comparsa nell’episodio sulla lirica verdiana, e i problemi sul controllo dell’informazione nel sistema televisivo sembrano essere giunti oltreoceano insieme al Rubygate, merito forse del discorso già avviato da Moretti in Habemus Papam sulla stupidità di certo giornalismo, che in To Rome with love è portata all’estremo. Che qualcosa si sia rotto e gli schemi siano cambiati lo si intuisce tristemente anche dai paparazzi alle prese con l’inseguimento per le strade di un uomo qualunque, ricercato per la sua mediocrità, sintomo di una Dolce Vita che se n’è andata via per sempre portando con sé l’aura di magia gravitante su Cinecittà, dato che l’attore che seduce la sprovveduta ragazzotta di provincia ha ormai lo charme di Antonio Albanese. Ma gli spunti non bastano a salvare un lavoro approssimativo, poco curato persino nella gestione delle comparse, lasciate pascolare liberamente più volte nella stessa sequenza (e nella stessa direzione), presumibilmente a causa di decisioni imposte, tempi ristretti e ad una mancanza di completa autonomia dell’autore, le cui immagini sul set che lo ritraevano sonnecchiante andavano già interpretate come cattivo presagio. Non è un mistero che per Allen la vera caput mundi sia Venezia (dopo New York e Parigi), e che Tutti dicono I love you ne racchiuda la dichiarazione d’amore. Qui d’amore nessuno sembra parlare sinceramente, nemmeno la proiezione Baldwin, guida spirituale di giovani leve come Bogart in Provaci ancora, Sam, né lo stesso Allen, tornato davanti alla macchina da presa a sei anni da Scoop. Le battute rispolverate sulla morte, Dio e la psicanalisi rimangono folgoranti, ma sentirle pronunciate da una voce nuova aumenta l’effetto straniante e conferisce al tutto una minore onestà, nel già di per sé assente profumo di Vacanze Romane.

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