“Felici Hunger Games!”
Con la conclusione delle avventure di Harry Potter e quelle di Twilight in dirittura d’arrivo, non poteva certo mancare il nuovo fenomeno, letterario prima, cinematografico poi: Hunger Games.
In una società futura, se i ricchi vivono in una lussuosa Capitol City, i poveri sono divisi in 12 distretti, costretti a vivere quasi in schiavitù e in carenza di cibo. L’unica occasione per migliorare la propria condizione sono gli “Hunger Games”, un tributo che avviene ogni anno dopo una sommossa. Ventiquattro partecipanti, tutti ragazzi e ragazze dai 12 ai 18 anni, si affrontato in un gioco che avrà un solo vincitore. Tutti gli altri ci rimetteranno la vita. E il resto della popolazione starà a guardare davanti la televisione.
Tratto dal primo capitolo della trilogia di Suzanne Collins, il film negli Stati Uniti ha giù superato i 400 milioni di dollari, segno che Hollywood ha già trovato la sua nuova eroina, Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence), e due sicuri sequel. La sceneggiatura viene affidata alla stessa scrittrice, in modo da non tradire le aspettative dei lettori. Anche perché alcuni snodi narrativi sono diversi, ma nel complesso il film rimane fedele al racconto. Anche se, come sempre, nel romanzo vengono descritti meglio i pensieri e gli stati d’animo dei protagonisti (in questo caso il libro è scritto in prima persona dalla protagonista); sta poi al regista portarli sul grande schermo. Gary Ross inizialmente punta su una regia nervosa, un montaggio frenetico, quasi come se lo spettatore non riuscisse a mettere a fuoco le varie inquadrature. Poi, con l’inizio del gioco, prende le distanze e tutto diventa più semplice e lineare. Le morti dei ragazzi non si vedono mai esplicitamente, ma la tensione sale. E l’angoscia anche. Tutti stanno a guardare.
Una trama, o forse più semplicemente delle scelte stilistiche, che a tratti ricordano due film: Harry Potter e The Truman Show. Se la presentatrice del distretto 12, Effie Trinket (Elizabeth Banks), non può non ricordare la professoressa Umbridge, sia nei modi di parlare che nei costumi, il treno che porta i concorrenti a Capitol City riprende chiaramente quello di Hogwarts. Quasi a voler significare che si entra in “un altro mondo”. Un mondo che richiama quello visto in The Truman Show. Da uno studio televisivo si pilota tutto, dal fuoco ai medicinali, dall’amore alla morte. Tutto avviene per una logica, per uno scopo, niente o quasi è lasciato al caso.
Un film che tocca molte tematiche e contiene in sé altrettanti riferimenti cinematografici e letterari. In attesa del sequel sorge spontanea una domanda: fra un paio di anni, saremo tutti controllati così?