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America in Primetime

martedì 12 Giugno, 2012 | di Chiara Checcaglini
America in Primetime
Festival
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Voto autore:

Biografilm Festival, Bologna, 8-18 giugno 2012

La prima serata distrugge i sogni americani
Al Biografilm Festival sono stati proiettati i quattro documentari che compongono America in Primetime, progetto del Documentary Group prodotto dalla PBS e andato in onda sulla tv americana nel 2011: l’intento è quello di fare il punto su alcune figure ricorrenti della serialità televisiva americana contemporanea, tenendo presenti le origini e i cambiamenti che nel corso dei decenni hanno portato il fenomeno a proporzioni così determinanti nel panorama mediale attuale.

“Independent Woman”, “Man of the House”, “The Misfit” e “The Crusader”: queste le tipologie di personaggi che la serie di documentari analizza. Caratterizzati da una sigla, da marche grafiche e struttura simili, tutti gli episodi si sviluppa attorno alle interviste di molti autori e attori delle serie prese in considerazione (tra gli altri David Chase, Diablo Cody, Roseanne Barr, Jon Hamm, Jason Alexander, Mary Tyler Moore, David Lynch, Bryan Cranston)
Il risultato è inevitabilmente parziale, e ribadisce la scrittura e la sua capacità di nutrirsi della realtà circostante come momento determinante per la grandezza di una serie.
“The Independent Woman” e “Man of the House” (“la donna indipendente” e “l’uomo di casa”) risultano gli episodi più interessanti, in quanto categorie particolarmente significative in relazione all’evoluzione della serialità, da oggetto di puro intrattenimento consolatorio a analisi profonda delle ipocrisie e delle sovrastrutture dell’American Dream. Nella rappresentazione della donna in televisione impossibile prescindere da Mary Tyler Moore, prima co-protagonista di The Dick Van Dyke Show, poi donna in carriera nubile e sessualmente libera nella sua serie The Mary Tyler Moore Show in onda dal 1970 al 1977. Dalla distruzione dei cliché fisici e familiari di Roseanne alla scandalosa messa in scena delle dipendenze di Murphy Brown, la serialità ha contribuito a diffondere un modello di donna che non si esaurisce in casa e famiglia ma che può disporre di se stessa e del proprio corpo come preferisce, e che soprattutto risponde alla varietà delle situazioni reali: fino a giungere in tempi più recenti alle trasgressioni verbali di Sex and the City, alla rottura del tabù della maternità come esperienza universalmente positiva (esemplificata dalla Lynette di Desperate Housewives), ai complessi ritratti femminili di The Good Wife.
Sul complementare fronte maschile si assiste alla decostruzione del padre di famiglia tutto d’un pezzo, pilastro della casa, semplificatore di problemi. Dall’inversione di ruoli tra marito e moglie tipico della commedia (Everybody Loves Raymond), all’analisi della crisi profonda dell’uomo di casa portata avanti da The Sopranos fino alla cinica esplorazione dei labili confini della morale nella doppia vita di Walter White in Breaking Bad.
Più confusi “The Misfit” e “The Crusader” (“il disadattato” e “l’eroe”), la cui analisi soffre forse della mancanza di una più precisa connotazione socio-culturale e di una collocazione in prospettiva rispetto alla storia del testo seriale.
Nella categoria del “disadattato” vengono inclusi gli “sfigati” di Freaks and Geeks e gli emarginati di Alan Ball (su tutti l’omosessuale represso David di Six Feet Under), i personaggi surreali di Arrested Development e quelli di Seinfeld. Serie in cui il “disadattato” non è più escluso ma diventa misura del proprio universo deformato, spesso declinato in forma di commedia: l’estraneità di fronte alle categorie codificate e ai comportamenti accettati non è più fonte di smarrimento, ma di una sorta di narcisistico orgoglio, che può diventare bizzarria (Dwight di The Office) o cinismo (Larry David in Curb Your Enthusiasm).
E’ significativo che l’episodio più problematico sia quello sull’eroe, il protagonista che si carica sulle spalle la responsabilità della distinzione tra bene e male, giusto e sbagliato, agendo però molto spesso in una zona grigia che generalmente gli costa la propria felicità. Vi trovano posto i poliziotti depressi di Steven Bochco (NYPD Blue), l’ambiguità di Jack Bauer, il distorto codice di Dexter e l’abilità allucinata del Dr. House. L’impressione è che una nozione così vasta non renda giustizia alla complessità dei mondi messi in scena e dei personaggi che li abitano, e al tempo stesso rischi di essere troppo granitica per la quantità di percorsi eroici e anti-eroici raccontati dalle serie contemporanee. Imperdonabile la quasi totale assenza di incarnazioni femminili dell’eroe: citate di sfuggita solo Sidney Bristow (Alias) e Buffy The Vampire Slayer, che avrebbero meritato ben altro trattamento.

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