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La leggenda del cacciatore di vampiri

lunedì 23 Luglio, 2012 | di Maria Cristina Andrian
La leggenda del cacciatore di vampiri
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Fuori le zanne
Una parte della filosofia orientale propone l’idea della vita intesa come una ruota in cui tutto gira, per poi tornare al punto di partenza. Se Sthephanie Meyer in Twilight usa l’elemento del vampirismo come mero pretesto per narrare una – pur intensa – storia d’amor proibito, il film di Timur Bekmambetov ha il pregio di ricollocare la figura del non-morto a confine tra fascino gotico e orrore sanguinolento, laddove lo avevano lasciato Bram Stoker o Anne Rice.

I vampiri che il giovane Abramo Lincoln affronta, molto per vendetta personale visto che gli hanno ucciso la madre e un po’ per spirito di giustizia, sono seducenti ma zannuti, eleganti ed intelligenti, però spietati. Non c’è un eccessivo spazio per il sentimentalismo o la retorica dei sentimenti, la cosa importante è imbracciare l’ascia (che diventa fucile all’occorrenza) e far fuori quanti più mostri possibile. Se il film non diverrà, forse, una pietra miliare del cinema horror, si deve comunque rendere merito a Bekmambetov di essere riuscito a narrare una storia avvincente, conducendo in maniera efficacissima i suoi personaggi a cavallo di un burrone, in mezzo ad una lotta furiosa o dentro un’elegante casa colonica infestate da creature munite di zanne. L’immagine del Sud che il film trasmette è quella di un mondo dove il bianco del cotone è inzuppato nel rosso del sangue, con i Sudisti rei di essere alleati dei vampiri, e in un certo senso vampiri essi stessi, pronti a succhiare la vita dei loro schiavi costringendoli a lavori massacranti. Proprio quando, però, la questione potrebbe approfondirsi, il regista – non si sa quanto volutamente – svicola e riporta la narrazione su un piano più semplificato. L’assenza di un’indagine più profonda nuoce lievemente alla struttura narrativa, perché lascia i personaggi pericolosamente vicini a delle caricature di sé stessi. Rischio scongiurato tuttavia da un cast senza infamia e senza lode, ma capace di amalgamarsi quel tanto che basta per diventare credibile. Unica eccezione su tutti è Rufus Sewell, che come al solito brilla riuscendo a conferire un’allure di perfidia snob al suo personaggio, Adam. In quanto al 3D, come nel 99% dei film, non aggiunge nulla e nulla toglie ad un lavoro che spezza la sconcertante calma piatta della programmazione estiva.

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