Speciale 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
ORIZZONTI
La ricerca della felicità
Come può essere rappresentata la ricerca della felicità? Come un viaggio interiore nel quale il percorso personale è indice del proprio cammino allegorico? E se invece la felicità fosse presente in un luogo, fisicamente, e individuabile nel perimetro di una zona delimitata?
Questo è il fulcro narrativo di Ja Tozhe Hochu, tradotto Me Too, pellicola russa che mette al centro la ricerca di una cattedrale, situata in una zona recintata e dall’alto tasso radioattivo, dove si dice trasporterà alla felicità le persone che meriteranno di riceverla. Se alla base è chiaro il riferimento a Stalker di Tarkovskij, il tono e il modo sono diametralmente opposti a quelli del maestro russo. Balabanov, autore della pellicola, realizza quella che sembra essere una sgangherata commedia umana (negando però l’uso dell’ironia per un determinato fine), dove l’andamento sta a metà tra Kaurismäki (nei silenzi del suonatore folk, la cui seriosità viene interrotta più volte da azioni d’ilarità non voluta) e Kusturica (in alcune sonorità alla Bregovic utilizzate in contrapposizione a situazioni di caos o di stasi narrativa). Se le riflessioni di Tarkovskij si basavano sull’attraversabilità di uno spazio altro e misterioso, nel quale il giungere a destinazione era un percorso di conoscenza personale sulla reale necessità di ottenere il desiderio, l’uso della jeep come mezzo di trasporto da parte dei protagonisti di Me Too nega divertitamente tutto questo, e il viaggio diventa semplice ricerca della strada che porta a destinazione. Le stesse motivazioni che spingono i protagonisti a cercare il luogo si fermano all’affermazione del titolo, Me Too (anche io), unica spinta che non li porta mai a riflettere sul senso della ricerca della felicità, considerato semplice obiettivo d’itinerario. Balabanov però non mostra solo di realizzare un’opera che si pone di traverso a quella di Tarkovskij ma, al contrario, quando i protagonisti giungono alla cattedrale, il senso dello spazio e le icone presenti nell’edificio richiamano direttamente all’Andreij Rublev. Me Too si presenta come una pellicola che rielabora ironicamente le basi tarkovskijane senza per questo tradirle o parodiarle, ma cogliendone degli elementi e interiorizzandoli nel proprio cinema.