A poche ore dalla candidatura a Presidente della Repubblica della pioniera del videogiornalismo Milena Gabanelli da parte del M5S, il web in generale e i social network in particolare, spendono migliaia di parole per analizzare, capire, prendere posizione, comunicare un’opinione al riguardo (la notizia più battuta: una laureata DAMS al Quirinale!).
Tralasciamo le raccapriccianti questioni politiche che stanno mettendo in ginocchio il Paese. Sospendiamo un giudizio personale in merito – questa non è la sede. Usiamo un romanzo noir, scritto come una sceneggiatura, per compiere una breve riflessione sul ruolo dei media – web, carta stampata, televisione – nella nostra realtà politica, sociale e istituzionale. Betibù (Feltrinelli, 2012) è l’ultimo romanzo della scrittrice argentina Claudia Piñeiro. Il thriller è ambientato nel lussuoso country-club La Maravillosa di Buenos Aires in cui si verifica un dubbio caso di suicidio. La Betibù del titolo (nomigliolo che deriva da Betty Boop) è uno dei personaggi principali del racconto: una scrittrice di romanzi noir con una carriera in declino a causa del fallimento del suo ultimo lavoro. A Betibù si affiancano due giornalisti del quotidiano El Tribuno: un giovane nerd mago del web addetto alla cronaca nera e un veterano del giornale, relegato nella sezione “costume e società”. Al mal assortito trio sono affidate le indagini del presunto suicidio. Lo stile vivace della Piñeiro, privo di virgolettati nei dialoghi, pone in primo piano i personaggi e le loro storie, l’indagine è poco più che un pretesto. Cosa c’entra la candidatura della Gabanelli con questo fresco bestseller sudamericano? A fare da sfondo al romanzo ambientato in quella società argentina che ricorda sempre più da vicino quella italiana, c’è il mondo dei media e la loro relazione con il potere. Il problema di credibilità delle istituzioni descritto nel racconto, dovuto a un quarto di secolo di corruzione che ha coinvolto i governi dell’Argentina, pare quanto mai vicino oggi al nostro paese. Come la Piñeiro preferisce mettere a capo di un’indagine che dovrebbe spettare alle forze dell’ordine una scrittrice e due giornalisti, una parte di chi dovrebbe governarci elegge una giornalista (la migliore, va detto) come prima candidata al Quirinale al posto di un politico di esperienza. La lezione del fondatore del giornalismo investigativo Rodolfo Walsh “se non c’è giustizia che almeno ci sia verità”, più volte evocata nel romanzo, sorregge moralmente le indagini del trio improvvisato d’investigatori e ha un suono famigliare. Speriamo che gli eventi ci consentano al più presto di occuparci d’altro.