15° Far East Film Festival, 19 – 27 aprile 2013, Udine
Il calendario cinese parla chiaro: a febbraio è iniziato l’anno del serpente. Dodici mesi in cui, secondo gli astrologi, “sarà possibile scivolare oltre gli ostacoli”. Sarà così anche per Far East Film Festival? L’abbiamo chiesto ad uno dei motori della manifestazione, Thomas Bertacche, genitore insieme a Sabrina Baracetti di questo geniale miracolo, che da 15 anni fra lo stupore e il divertimento si rinnova nella città di Udine, locanda e rifugio dove condividere esperienze, viaggi e immaginari.
15 anni di vita: traguardo o punto di partenza?
Arrivare a 15 anni permette di far sì che un evento inizi ad avere la forza di incidere sull’immaginario del pubblico. Noi siamo convinti che le distanze fra oriente e occidente non siano diminuite in questi anni, ma possiamo immaginare di aver influenzato, cinematograficamente parlando, almeno una generazione di critici, di addetti ai lavori, di studiosi. Ora siamo in grado di riconoscere questo cinema e le sue differenze con i prodotti occidentali. Vogliamo che sia un traguardo, ma anche – attraverso le tv, internet, i canali della distribuzione in sala – un punto di svolta e di rinnovo culturale.
Si parla di crisi dei festival internazionali, poco rappresentativi e creati quasi ad esclusivo uso e consumo degli addetti ai lavori. Un evento “multitasking” quale é Far East come si colloca all’interno di questa polemica?
Il nostro primo obiettivo é la capacità di mettere insieme persone: uno dei motivi della nostra stabilità é sicuramente il fatto che il festival si svolga tutto all’interno del Teatro Nuovo. E poi abbiamo anche la fortuna di poter far incontrare nove o dieci cinematografie diverse, cosa che succede più difficilmente in Asia. I festival che hanno la capacità di essere anche un punto di raccolta e di confronto hanno un senso e un futuro.
L’anno scorso vinse un po’ a sorpresa Silenced, dramma coreano tratto da un fatto di cronaca. Quali titoli ci sorprenderanno quest’anno?
Se siamo abbastanza disponibili a guardare le romantic comedy, il cinese Finding Mr. Right è un film assolutamente incredibile. Io mi sono divertito molto con alcuni hongkongesi come The Bullet Vanishes e The Way We Dance. Il Giappone poi come sempre si divide fra cose pazze e versante d’essai: da un lato Maruyama (una “self-fellatio comedy”), dall’altro See You Tomorrow, Everyone e A Story of Yonosuke. Da non perdere poi Key of Life, il coreano National Security e il dramma taiwanese Gf*Bf.
Il premio alla carriera quest’anno andrà a Kim Dong-ho, tra i fondatori del Festival di Busan (la Cannes d’Oriente). Cosa vi ha spinti a questa scelta, dopo Michael Hui e Johnnie To?
Kim per noi rappresenta il concetto di festival, perché é riuscito a renderci testimoni della rivoluzione e del rinascimento del cinema coreano. Ha portato gli occidentali in Corea mostrandogli il suo cinema, l’unico negli ultimi 30 anni ad essere davvero rivoluzionario. Basti pensare a Park Chan-wook, Kim Jee-woon, Kim Ki-duk, Hong Sang-soo: Kim è stato fondamentale nella promozione di questi registi.
Saranno 10 le cinematografie in gara, e naturalmente l’attenzione si fissa sulla presenza inaspettata della Nord Corea, con Comrade Kim Goes Flying. Ci sono altre nazioni che ancora vi sfuggono, o delle quali vorreste approfondire la conoscenza?
Comrade Kim Goes Flying non sarà un gran film, forse, però si vedono Pyongyang e una certa immagine di vita voluta o sognata dentro la Corea del Nord. È uno sguardo molto interessante. Per il resto, la cinematografia che manca é quella indiana, ma siamo su modi produttivi completamente diversi. E’ difficile che prima o poi ci si occupi anche dell’India, anche se naturalmente l’ipotesi é affascinante.
Vi é mai balzata alla mente l’idea di dar vita ad un nuovo evento, che indaghi un’altra area geografica poco conosciuta? Magari il cinema fiammingo, o la Nollywood africana…
Come festival no, la possibilità di creare un altro approfondimento importante come il Far East non c’è. Personalmente la cinematografia emergente che mi piace di più é quella dell’America Latina, un mondo che se non altro prima o poi inizieremo ad osservare con la Tucker Film.
La Tucker Film è la casa di produzione nata unendo le forze di Centro Espressioni Cinematografiche e Cinemazero di Pordenone. In questi anni avete portato in sala opere come Departures, A Simple Life, Poetry: avete altri assi nella manica per il pubblico italiano?
Ci piacerebbe riuscire a portare nelle sale almeno un film all’anno dalle Giornate del Cinema Muto. Per il resto a breve usciranno Confessions, Thermae Romae e In Another Country, il primo film di Hong Sang-soo distribuito in Italia.
Alla fine di un’intervista la domanda di rito è sempre quella sui “next projects”. Quale sarà secondo voi il futuro del festival? Quali sono le prospettive dopo 15 edizioni?
Intanto spero ci siano almeno altri 15 Far East! I margini sono amplissimi, vorremmo incrementare la parte legata al mercato come stiamo già facendo con Ties that Bind, il workshop che indaga la possibilità di coproduzioni tra Asia ed Europa. L’idea sarebbe quella di diventare un punto di riferimento soprattutto per l’on demand e la rete. D’altra parte ci sono ancora un’enormità di storie da recuperare e di retrospettive da fare. La cosa più importante é capire se il pubblico vuole che il Far East vada avanti.