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Paul Schrader

mercoledì 28 Agosto, 2013 | di Nicola Peirano
Paul Schrader
Festival
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SPECIALE AUTORI VENEZIA 70 – PARTE II
Un autore “oltre” il cinematografo
Da studioso ad artefice, Paul Schrader percorre trasversalmente il cinema: la figura di scrittore, il ruolo con cui in prima battuta si identifica lo sceneggiatore di Taxi Driver e Toro scatenato, di Mosquito Coast e di L’ultima tentazione di Cristo, è solo un risvolto di un interesse totalizzante per la Settima Arte, che si esprimeva a partire dalle sue speculazioni teoriche negli anni della UCLA e dalle riflessioni critiche su periodici specializzati e non.

Per molti aspetti Schrader incarna meglio di altri figli della New Hollywood la chimera di un’autorialità integra e compiuta, che emerge dalle indagini filosofiche attorno alla stesura dello script, dalla padronanza di uno stile personale e dalla ricorrenza dei contenuti, dall’adeguamento degli imperativi della macchina produttiva alle proprie esigenze artistiche.mediacritica_paul_schrader1 Un filo continuo intreccia i film di Schrader e quelli scritti per Scorsese, De Palma, Weir, Pollack, impregnati di quella ricerca di senso che, sin dalle origini della sua indagine metafisica, guida il pensiero di questo autore. Cresciuto in una famiglia di stretta osservanza calvinista, Schrader ha posto al centro della sua personale visione etica ed estetica il mistero dell’uomo e della sua esistenza terrena, partendo proprio da quelle tensioni religiose maturate negli anni di una forzata lontananza dal cinematografo. La sua arte è indirizzata alla scoperta di una trascendenza, poiché avverte nell’incertezza costante di una fede salda l’urgenza di una verifica: se l’essere umano sia prigioniero o meno della sua materialità. Pentimento, grazia, elevazione, oppure colpa, condanna, mortificazione? Protesi verso il paradiso sull’orlo di un precipizio, gigolò e spacciatori, artisti e profeti, sperimentano la doppiezza di un destino che assottiglia le maglie del libero arbitrio, ma lascia aperto lo spiraglio della redenzione. La compresenza di un registro rarefatto e di una violenza deflagrante, nonché la scelta di centellinare la tensione in attesa di un’istantanea rottura, esprimono la non univocità del reale e la sospensione di una condizione umana perennemente inclinata. In quarant’anni di carriera, con un transito ondivago tra Hollywood e cinema indipendente, Schrader ha messo faccia a faccia i suoi personaggi con gli idòla della contemporaneità, che rendono manifesta l’ansia di controllo e di dominio inscritta nell’uomo, schiacciato dalla propria transitorietà. La triade potere, sesso e denaro, insieme alla riflessione sul potere dell’immagine filmica, attraversa sia le opere che Schrader ha sceneggiato per altri registi, sia quelle che gli appartengono “puramente”. Da un lato i risultati migliori, pervasi chiaramente da allegorie e simbolismi, come Hardcore e American Gigolo, o improntati a un realismo di facciata che nasconde i rimandi metaforici, come Tuta blu; dall’altro, film meno riusciti, come Lo spacciatore e Il bacio della pantera, imprecisi e stilizzati anche se permeati da un indubbio fascino atmosferico. In mezzo il capolavoro incompreso Mishima: una vita in quattro capitoli insieme ad altri film “difficili” come il recente Adam Resurrected, e il disastro produttivo Dominion: Prequel to the Exorcist. In attesa dell’ultimo The Canyons – possibile “infortunio”, stando alle recenti critiche –, presentato fuori concorso alla rassegna veneziana, e del frammento inserito in Venezia 70: Future Reloaded, dedicato ai 70 anni della Mostra.

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