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Sharknado

sabato 21 Settembre, 2013 | di Filippo Zoratti
Sharknado
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Piovono squaletti (It’s raining sharks… hallelujah!)
Non tutti i film che amiamo definire brutti appartengono alla categoria degli scult, così come non basta che una pellicola ci sia piaciuta per essere definita “capolavoro”. Uno scult è trash che si fa culto, è B-movie che si apre a fissazioni intellettuali; è, insomma, una cellula impazzita che sovverte tutte le regole base di forma e contenuto che ognuno di noi dà per scontate guardando un’opera di finzione.

Da semplice spazzatura a memorabilia: lo scult si imprime a fuoco nella nostra memoria, diviene a tal punto fenomeno universale da lasciarci col ragionevole dubbio della sua consapevolezza. Ovvero: è girato talmente male da non sembrare vero, da non concederci di capire se chi lo ha realizzato sia un genio o un idiota. Prendiamo Sharknado, mediacritica_sharknado1ad esempio: il regista Anthony C. Ferrante era conscio di avere per le mani il caso dell’estate 2013? Trasmesso dal canale tv statunitense Syfy e prodotto dalla famigerata The Asylum, Sharknado è divenuto in brevissimo un fenomeno virale eccezionale, capace di cinquemila tweet al minuto. Evento naturale più presenza di un animale pericoloso, meglio se proveniente dall’ignoto spazio profondo del mare (come Mr. Spielberg ci ha insegnato nel 1975): et voilà, la catastrofe è servita. Lo spunto iniziale è un attacco di massa da parte di migliaia di squali sulla spiaggia di Santa Monica; subito dopo un uragano si abbatte su Los Angeles, allagandone le strade. Ecco la svolta: il freak hurricane ora risucchia gli squali sollevandoli in aria e scaraventandoli in città, dove il protagonista Finley (un concentratissimo Ian Ziering) sta dannatamente cercando di salvare la propria famiglia. Senza spingersi troppo in là – qualcuno ha persino scritto di “aperta critica alle logiche hollywoodiane” – possiamo immaginare un budget estremamente low e la pazza pazza pazza libertà di spararla il più grosso possibile. L’ostentata mancanza di logica tocca il sublime quasi in ogni sequenza: dalle scene di repertorio raccattate in chissà quanti e quali documentari sulla fauna marina alla nonchalance con cui esseri di 300 chili toccando il suolo non solo non si sfracellano ma sfondano case ed edifici sguazzando in 10 centimetri d’acqua, fino al cortocircuito visivo per cui l’attore che interpreta il figlio della rediviva Tara Reid nella realtà ha solo 6 anni in meno di lei. Bene o male l’importante è che se ne parli, e siamo convinti che non guarderemo mai più i film passati e futuri incentrati sulla presenza di squali con gli stessi occhi. Ma non basta: ora che il “peccato originale” è stato compiuto, c’è tutto un franchise a portata di mano. Si parla già di Sharknado 2, e si favoleggia di nuovi strambi accostamenti. Noi già sogniamo l’epicità di un ipotetico Wolfcano, storia di un vulcano che erutta lupi.

Sharknado [Id., USA 2013] REGIA Anthony C. Ferrante.
CAST Ian Ziering, Tara Reid, John Heard, Cassie Scerbo.
SCENEGGIATURA Thunder Levin. FOTOGRAFIA Ben Demaree. MUSICHE Ramin Kousha.
Avventura/Azione, durata 86 minuti.

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