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Il gigante (1956)

sabato 8 Febbraio, 2014 | di Luca Giagnorio
Il gigante (1956)
Film History
2
Voto autore:

8 FEBBRAIO: OMAGGIO A JAMES DEAN
Il James Dean dimenticabile
Se nel destino di James Dean era scritto che la morte l’avrebbe colto mentre volava con la sua Porsche da corsa sull’U.S. Route 466, un caldo pomeriggio del settembre ‘55 sul finire delle riprese del film Il gigante, per “sua fortuna” era anche scritto che La valle dell’Eden e soprattutto Gioventù bruciata fossero già usciti nelle sale consegnando così al mondo l’icona James Dean, in un’aura d’immortalità che le sue sole capacità attoriali, o un corpo in futuro provato dai segni del tempo, mai avrebbero potuto conferirgli.

Dei tre film da protagonista che interpretò il ragazzo nativo di Marion, senza alcun dubbio Il gigante è il meno riuscito, oltre che quello, visto oggi, invecchiato decisamente peggio. Il regista premio Oscar George Stevens (Miglior Regia per Un posto al sole e proprio per Il gigante) racconta l’epopea dei Benedict, una famiglia di allevatori di bestiame da generazioni che dovrà fare i conti con un mondo in grande mutamento,mediacritica_il_gigante dove alle mandrie di buoi e cavalli si sostituiscono le trivelle per le estrazioni petrolifere. Coprotagonista il gigantesco (da cui il titolo) Texas, con i suoi paesaggi sconfinati, i suoi deserti, le sue disuguaglianze, i suoi razzismi. Il kolossal di Stevens sconta in primo luogo una lunghezza eccessiva (oltre le tre ore), che non stupisce viste le manie di grandezza del regista (basti pensare al biblico La più grande storia mai raccontata), e uno sviluppo eccessivamente programmatico nel condurci al finale accomodante e assolutorio. I temi messi a fuoco sono troppi (razzismo, scontro generazionale, relazioni sentimentali, cambiamenti economici e sociali) per poter sfuggire a banalizzazioni e semplicismi assortiti che la maestosità visiva non riesce a nascondere a uno sguardo contemporaneo. Il cast di divi nel fiore degli anni soccombe suo malgrado ai propri personaggi. La solita Elizabeth Taylor di una bruciante bellezza riesce a diventare incolore rinchiusa nello stereotipo della donna emancipata (solo a parole) dell’Est, le cui ribellioni verso l’autoritario e patriarcale marito si spengono presto in sterili scaramucce. L’attrice, dopo la passione non corrisposta per Montgomery Clift, sarà nuovamente sedotta dalla fragilità nascosta del sex symbol Rock Hudson (come Clift, omosessuale non dichiarato), attrazione ovviamente non corrisposta se non nella finzione cinematografica. James Dean non convince nell’interpretare un personaggio che si fa sempre più negativo mano a mano che la sua ricchezza aumenta, e che l’attore trasforma, gigioneggiando oltre ogni limite, in una macchietta, per quanto nel finale, ormai invecchiato e preda della solitudine e dei rimpianti, assuma una sua grandezza beffarda, come fosse un sarcastico flashforward di un possibile Dean cinquantenne, se la sua vita non fosse stata destinata alla leggenda. Chiude il quadro un giovanissimo Dennis Hopper, il cui spaesamento è forse preludio della ribellione a regole narrative stereotipate e contenuti moralistici che produrrà nel 1969 quel liberatorio manifesto della cultura hippy che è Easy Rider, o almeno, è questo che mi piace pensare.

Il gigante [Giant, USA 1956] REGIA George Stevens.
CAST Elizabeth Taylor, Rock Hudson, James Dean, Dennis Hopper.
SCENEGGIATURA Fred Guiol, Ivan Moffat. FOTOGRAFIA William C. Mellor. MUSICHE Dimitri Tiomkin.
Drammatico, durata 201 minuti.

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