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The Imitation Game

sabato 3 Gennaio, 2015 | di Massimo Padoin
The Imitation Game
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Guardare sia il dito che la luna
È quasi come non fosse come avrebbe voluto essere, o come se più semplicemente simulasse di essere qualcos’altro. The Imitation Game è un film edulcorato nella sua forma per raccontare invece qualcosa che sottotraccia dimostra essere ben poco rassicurante.

Il rapporto tra l’uomo e la macchina è il nucleo costantemente depistato della pellicola, e non come lo era in Lei verso qualcosa (un software) di già esistente, ma tra un uomo (il matematico Alan Turing) e il potenziale di un macchinario ipotizzato. Una relazione sentimentale, come il nome dato alla macchina mostra, Christopher, mediacritica_the_imitation_gameche è lo stesso dell’unico ragazzo con cui Alan instaurò all’università un rapporto, ben più di un’amicizia. È una relazione che dimostra anche la difficoltà di Alan a riconoscersi solamente nel modo di razionalizzare umano, oppure, al contrario, il dubbio di riconoscere nella macchina la possibilità di pensare, per essere invece un affacciarsi costante tra i due, rispecchiandosi. Ed è un rapporto portato alle estreme conseguenze, al degrado fisico e mentale di un’impotenza sessuale imposta ad Alan, senza che questa però interferisca con il suo relazionarsi verso lo strumento. In mezzo a The Imitation Game certamente non c’è solo questo, ma anche il secondo conflitto mondiale di un bellicismo antiretorico combattuto da dei matematici intenti a decrittare messaggi tedeschi, costretti poi a giocare a Dio attraverso le statistiche per decidere quali operazioni naziste sabotare o meno. Ma anche il rapporto problematico e conflittuale del genio con il resto della società, come quello contraddittorio con la finta moglie di Alan – unica vera sua confidente – e quello di un’omofobia societaria punitiva. Ma tutti questi sono elementi che vengono utilizzati per dare alla pellicola un tono rassicurante e per farsi piacere il più possibile, quasi uno svilupparsi gentile e un dissimulare la reale portata di un’ossessività che sottotraccia porta Alan, anche per scelta, ad autodistruggersi. Ma The Imitation Game in fondo è anche un film che continua a specchiarsi su se stesso, intreccia continuamente i propri nuclei narrativi e tematici facendosi osservare costantemente come altro, per indurci indirettamente al vero cuore della questione: un codice crittografato in cui il significato è costantemente sotto i nostri occhi nonostante non ci appaia comprensibile, insomma quasi come vedere allo stesso tempo la luna e il dito. In fondo sarebbe un plot che avrebbe potuto interessare a Cronenberg, con altri modi e una differente enfatizzazione, meno edulcorato e più viscerale e sincero, quindi meno piacente e più fastidioso. Ma The Imitation Game vuole essere anche qualcosa che dissimula per non mostrarsi pienamente, che in fondo non è altro che un modo per rappresentare il gioco dell’imitazione di Turing, e che forse è il peggior complimento che gli si possa rivolgere, o il miglior difetto.

The Imitation Game [Id., USA 2014] REGIA Morten Tyldum.
CAST Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Mark Strong, Matthew Goode.
SCENEGGIATURA Graham Moore. FOTOGRAFIA Óscar Faura. MUSICHE Alexandre Desplat.
Drammatico, durata 114 minuti.

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