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Ci serviva l’Hell’s Kitchen nostrano?

sabato 10 Gennaio, 2015 | di Sara Martin
Ci serviva l’Hell’s Kitchen nostrano?
Editoriale
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Fra pochi giorni il talent show Hell’s Kitchen – edizione italiana condotta da Carlo Cracco – va in chiaro su Cielo. Il format è stato trasmesso diversi mesi fa da Sky Uno, quindi, nessuna sorpresa sul vincitore e le puntate si trovano tutte su Youtube da tempo.

Hell’s Kitchen è basato sulla versione Usa (l’origine del format però è inglese) condotta dal cuoco con le rughe più profonde del pianeta e coi capelli più gialli della paglia, Gordon Ramsay. Lo chef è riuscito a raggiungere la dodicesima edizione e a farsi trasmettere da 26 Paesi nel mondo; Hell’s Kitchen è a pieno titolo il talent game di genere culinario più importante della televisione. Ramsay, famoso più per il suo turpiloquio che per le sue ricette (per noi italiani spesso sono dei “mappazzoni” per dirlo alla Bruno Barbieri), è stato censurato in molti Paesi. In Italia – unica nazione che doppia il programma assieme all’Ungheria – la censura è scattata solo a partire dalla nona stagione. Se sia il caratteraccio del cuoco britannico o la scrittura del format ad aver decretato il successo di Hell’s Kitchen è facile a dirsi: guardando Cracco al timone del format, dobbiamo ammettere che la tempra di Ramsay ha giocato indiscutibilmente il ruolo più importante nel successo della trasmissione.
Il gioco, noto ormai anche ai meno appassionati di factual e reality game, funziona così: due squadre di chef (molti già professionisti fuori dal set) divisi fra uomini e donne, si sfidano in una serie di prove e cucinano per una sala di commensali popolata da vari personaggi dello spettacolo, cuochi famosi e star di diversa natura. Uno solo sarà il vincitore del gioco e si aggiudicherà un’esperienza indimenticabile in qualche cucina pluristellata che lancerà certamente la sua carriera. A dirigerli, spronarli e poi valutarli è lo chef-conduttore e tutto ruota intorno alla sua personalità e alla sua capacità di far emergere o affondare la personalità di ciascun concorrente. Le regole del gioco sono totalmente arbitrarie, il conduttore può eliminare i concorrenti in qualsiasi momento e con ogni motivazione, oppure può decidere di “promuovere” tutti alla puntata successiva. Questa libertà nella gestione del game consente allo chef di essere protagonista unico del format. Dei concorrenti non importa nulla a nessuno.
Ora, c’è da chiedersi se agli spettatori italiani interessa seguire Cracco messo su un piedistallo così come sono abituati a seguire da anni Ramsay. Lo chef inglese è cattivo, spigoloso, genuinamente arrogante. Detiene lo scettro di re dei programmi culinari in tutto il mondo. Lo chef italiano è un talento di rarissima bravura ai fornelli ma davanti alla telecamera recita la parte del duro senza convinzione e senza una buona scuola di recitazione; si atteggia a sex symbol ma quando lo vediamo sullo schermo non possiamo fare a meno di pensare al Walker Trexas Ranger Chuck Norris e crolla il palco.
Di un Hell’s Kitchen italiano ne potevamo fare a meno. Potremmo cominciare a far a meno di più di un format culinario.

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