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Koza

sabato 31 Ottobre, 2015 | di Filippo Zoratti
Koza
Viennale
1
Voto autore:

53. Viennale – Vienna International Film Festival, 22 ottobre – 5 novembre 2015, Vienna

Gli ultimi saranno gli ultimi
Peter Balaz un pugile lo è stato davvero: Koza inizia con le immagini delle Olimpiadi di Atlanta 1996, con le riprese di un incontro fra due pesi piuma che si battono per non porre fine a quello che, probabilmente, sarà il punto più alto delle loro carriere. Pochi secondi, pochi frammenti luminosi e poi buio, si torna alla contemporaneità.

Ora Peter non ha più 23 anni ma 42, ha appeso i guantoni al chiodo e vive in una catapecchia fatiscente ai margini (sia geografici che sociali) della Slovacchia assieme alla compagna Misa. Per mantenersi recupera metalli, per sognare continua a guardare la registrazione in vhs di quel momento sportivo indimenticabile. mediacritica_koza_290La prima opera di finzione del documentarista Ivan Ostrochovsky – passata in anteprima a Berlino e Toronto prima dell’approdo alla Viennale, e in corsa come Migliore Film Straniero per la Slovacchia agli Oscar 2016 – costruisce sapientemente un cortocircuito visivo e narrativo fra quello che è realmente accaduto e ciò che all’opposto è frutto di una sceneggiatura. Non è la storia di una caduta e di una redenzione quella del protagonista Koza, non siamo di fronte ad uno dei capitoli di Rocky; ma, al contempo, la messinscena non si abbandona al pathos derivante dal dolore e dalla miseria. In modo secco e anti-retorico siamo di fronte al ritratto esistenziale di un martire che diviene archetipo, simbolo di una nazione e del contraddittorio destino dell’essere umano. La silhouette bassa e tarchiata di Peter sembra assumere addirittura i contorni della figura christi, dell’uomo che sopportando sulle proprie spalle tutto il peso del mondo sacrifica se stesso: quando Koza torna sul ring non è per una nuova sete di vittorie, ma per poter guadagnare i soldi necessari al mantenimento della moglie e del figlio che porta in grembo; la massima aspirazione non sarà mettere al tappeto gli avversari, ma incassare più colpi possibili senza crollare al tappeto al primo round. Nel corso del suo tragicomico tour, mentre il suo volto si gonfia e le parole diventano sempre più superflue e inadatte ad esprimere qualsivoglia pensiero, comprendiamo che il mondo abitato dal pugile non ammette la parola speranza, non conosce alcuna forma di catarsi. Le inquadrature fisse, i campi lunghi e l’ambientazione “apocalittica” (il film è stato girato in Germania, Austria, Svizzera, Repubblica Ceca e Italia) soffocano l’immedesimazione, sprofondano nel minimalismo e in fondo lasciano la sensazione che tutta la disavventura di Koza non sia che un incubo, una fusione fra reminescenze di vita vissuta e sogno. Un sogno brutto, sporco, cattivo e privo di fantasia, ma forse l’unico immaginabile per l’indomito Koza, che pur di lasciare ai propri cari il miraggio di un futuro migliore è pronto alla definitiva auto-distruzione.

Koza [Id., Slovacchia/Repubblica Ceca 2015] REGIA Ivan Ostrochovsky.
CAST Peter Balaz, Nikola Bongilajova, Stanislava Bongilajova, Jan Franek.
SCENEGGIATURA Marek Lescak. FOTOGRAFIA Martin Kollar. MUSICHE Miroslav Toth.
Drammatico, durata 75 minuti.

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  1. Pingback: The Happiest Day in the Life of Olli Mäki - Mediacritica – Un progetto di critica cinematografica

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