Quando mi è stato chiesto di collaborare con Seeyousound, ero curioso ma al tempo stesso un po’ perplesso e solo dopo le prime riunioni un po’ carbonare ho conosciuto un gruppo di persone con cui condividere la mia passione per il cinema e la musica. La mia sensazione è stata allora quella di trovare finalmente una collocazione, dopo essere sempre stato diviso tra questi due universi, come racconta il mio tributo al mondo dei dischi, Vinylmania, con cui fui invitato a partecipare nella rassegna della prima edizione del festival.
Fu però solo dopo una “prima volta”, quasi annegata nel calderone di San Salvario, dove quando butti un sasso, le onde sono risucchiate dalla movida, che l’idea di costruire un vero festival dal basso ha preso forma e, in soli 9 mesi di gestazione, ha dato come frutto questa seconda edizione (SYS2ND) in cui, grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, si è trovata nelle sale del Cinema Massimo, finalmente la sua casa.
In Seeyousound l’immagine e il suono corrono insieme, per dirla con le parole di Bowie: «I will sit right down, waiting for the gift of sound and vision». Ed è proprio dall’omaggio al Duca Bianco che ha per titolo Low, anteprima mondiale dell’opera prima del regista francese Renaud Cojo, che il festival riparte. Questo film, sperimentale e visionario, sembra rappresentare simbolicamente ciò che Seeyousound vuole essere: un festival libero dedicato all’intrattenimento, ma anche al pensiero e alla riflessione sulla contemporaneità che ha come punte una rassegna intitolata Music is the Weapon, in cui la musica diventa arma di determinazione sociale e politica, voluta dalla nostra direttrice artistica Juanita Apraez, o il dialogo con realtà cittadine come la Cavallerizza Reale, che rivendicano il diritto alla cultura attraverso la riappropriazione degli spazi. Film di riscatto sociale, come Shake the Dust di Adam Sjöberg, che raccontano l’hip-hop delle bidonville, o di lotta contro l’integralismo religioso come They have to kill us first di Johanna Schwartz, dove i musicisti del Mali usano le chitarre elettriche come fossero mitra per difendersi dalla shari’a, o di lotta per l’indipendenza come nel caso di Sumé (Sound of a Revolution) di Inuk Sillis Haegh, in cui la psichedelia di una band groenlandese fa da traino al movimento autonomista contro la Danimarca. Oppure film sulla sopravvivenza – presenti nella sezione Long Play (competizione di lungometraggi internazionale), che curo dall’anno scorso – come quella contro la malattia di Miss Sharon Jones! di Barbara Kopple, coraggioso ritratto della cantante americana, o di resistenza come quella di Quylapayún – Beyon the Song di Jorge Leiva, che racconta dell’esilio, dopo il colpo di stato in Cile, della band che scrisse l’inno della rivoluzione latino-america, El pueblo unido jámas sera vencido, o film dove la ricerca dell’amore assume una natura vampiresca come For this is my Body di Paule Muret, in cui Carl Barât dei The Libertines ha una relazione con una groupie, sono solo alcuni degli esempi di uno sguardo sul presente.
Stiamo attraversando tempi difficili, dove tutto viene continuamente rivoltato con un conseguente e progressivo svuotamento del senso, e mi auguro che Seeyousound, con tutti i suoi film e il suo pubblico di appassionati e la spinta del nostro direttore “spirituale” Maurizio Pisani, riesca veramente ad essere “il festival che non c’era”, contribuendo a risvegliare i torinesi dal torpore post-olimpico che ultimamente avvolge questa città. Titoli di coda? Non ancora, forse un lungo riverbero sino alla prossima edizione del feedback sonoro che esprima la voglia di urlare qualcosa di diverso a tutto volume!