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In questo numero

La storia del cammello che piange (2004)

sabato 24 Settembre, 2016 | di Lisa Cecconi
La storia del cammello che piange (2004)
Film History
0
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SPECIALE ITALIANA DOC
Di uomini e di animali
“Allora, figli miei. Ora vi racconto la leggenda del cammello.” Le parole del vecchio Janchiv, nomade anziano della Mongolia del Sud, introducono il documentario. La favola che narrerà non è La storia del cammello che piange: è piuttosto la porta di ingresso che si dischiude sul film, per lasciarci entrare nel mondo ancestrale del Deserto del Gobi, apparentemente sospeso in bilico tra mito e natura.

Realizzato come prova d’esame per la Scuola di cinema di Monaco, il documentario di Byambasuren Davaa e Luigi Falorni si è candidato agli Oscar 2005 e non è difficile capire perché. Lungo il filo rosso di una vicenda emozionante, lo stile di vita dei nomadi si dipana a poco a poco, nel pacifico contrasto tra il rigore del deserto e il calore soffice di pecore e cammelli, mediacritica_la_storia_del_cammello_che_piange_290tra gli interni delle tende, arabescati in colori accesi, e l’uniforme pallore della terra bianco-ocra punteggiata di arbusti esangui. All’asprezza del paesaggio, uomini e animali oppongono reciproco conforto, i primi occupandosi dei secondi, accudendoli come fratelli e ricevendone in cambio latte e lana preziosi. Il ritmo quieto del montaggio riflette la ciclicità di gesti e occupazioni, con un approccio dello sguardo da osservatore partecipe e discreto. La primavera è la stagione dei parti e il primo cammello nato è accolto con auspici e nastri ornamentali. Ma un cucciolo di cammello bianco viene rifiutato dalla madre dopo un parto decisamente complicato e rischia di morire di stenti e di tristezza. Toccherà a Dude e Ugna, i più piccoli della famiglia, cavalcare fino alla città per trovare un violinista che, accompagnato da un canto antico, metta in atto il rituale per riavvicinare la madre al suo piccolo. Ce n’è abbastanza per un racconto dal respiro universale, dove la nostalgia per una dimensione arca(d)ica si sposa alla funzione vitale dell’amore come indispensabile nutrimento della vita. Ma la vera forza di questo documentario, che commuove senza enfasi né affettazione, sta nell’abilità con cui la regia miscela perfettamente costruzione narrativa e spontaneità degli eventi, lasciando al contempo emergere sentimenti e tensioni di una cultura sulla via del tramonto. “Passeresti tutto il tempo a guardare le immagini di vetro” predice Janchiv al piccolo Ugna che desidera un televisore. Ma l’avanzare della modernità non è qualcosa che si può evitare e nella scena del violinista che arriva in scooter per celebrare il rituale è racchiuso tutto il paradosso di un equilibrio destinato a spezzarsi. Forse è per questo senso di perdita, ancor più che per il pianto del cammello, che si arriva al bellissimo finale con la gola già stretta in un nodo.

La storia del cammello che piange [Die Geschichte vom weinenden Kamel, Germania/Mongolia 2004] REGIA Byambasuren Davaa, Luigi Falorni.
SOGGETTO Byambasuren Davaa, Luigi Falorni, Batbayar Davgadorj . FOTOGRAFIA Luigi Falorni, Juliane Gregor. MUSICHE Marcel Leniz, Marc Riedinger, Choigiw Sangidorj.
Documentario, durata 87 minuti.

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