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Sognare è vivere

sabato 17 Giugno, 2017 | di Erasmo De Meo
Sognare è vivere
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Una lettrice dietro la macchina da presa
Natalie Portman si è portata dietro il progetto di Sognare è vivere per lungo tempo. Sin dall’uscita, nel 2002, del romanzo Una storia di amore e di tenebra dello scrittore israeliano Amos Oz, la sincerità del racconto, la forza dei personaggi, la facilità ad immaginare scene delineate fin nei minimi particolari, l’hanno convinta ad acquistarne i diritti per trarne prima o poi un film.

Il suo molteplice ruolo di regista, attrice, sceneggiatrice e produttrice dimostra quanto abbia creduto e tenuto a questo progetto, ma anche quanto, in fondo, non sia riuscita a condividere quest’infatuazione. È forse perché altri non vi hanno visto la forza che vi ha visto lei? O perché il rapporto che si instaura con certi libri è così intimo, così privato, che non lascia spazio ad intrusioni? mediacritica_sognare_e_vivere_290Fatto sta che Sognare è vivere è un film particolarissimo, che è difficile giudicare con i metri canonici, perché è pieno di errori, ma è pieno di passione, perché ha la forma traballante e instabile di un violinista in cima ad un tetto, ma la sua stessa magica, folle e seducente determinazione. Amos Oz da piccolo viveva a Gerusalemme, quando l’Israele non era ancora uno stato indipendente e le ferite della guerra erano ancora aperte e brucianti. Il padre Arieh era uno studioso di letteratura, la madre, Fania, una donna intellettualmente vivace, ambiziosa e creativa. La vita è però dura, povera, racchiusa nei suoi minuti rituali, nella ripetitività più irrazionale, tutto è dosato, razionato, controllato ed è richiesta a ciascuno un’umiltà di costumi e di intenti che Fania mal sopporta. L’acquisita autonomia di Israele fa ben sperare, forse la vita vera sta per cominciare, ma tutto si ripete, tutto delude. Amos cresce conscio di questa barriera insormontabile e della possibilità di un altro modo di percepire, sentire, emozionarsi, soprattutto grazie alla madre, che sfoga la sua dirompente intelligenza in racconti, visioni, poesie, citazioni rielaborate, che affascinano profondamente il figlio, dotandolo di un immaginario ricchissimo e fondamentale per il suo futuro di scrittore. Ma “non farò lo scrittore” diceva, perché “manco di sensibilità, faro il contadino o l’avvelenatore di cani”: credeva che la sensibilità fossero lo studio e l’erudizione del padre, che fosse quell’appetito per l’“interessante” rivolto in ogni direzione. Diventerà davvero contadino in un kibbutz, ma ciò lo aiuterà ancora più a capire quanto fosse invece pieno di sensibilità e di storie da raccontare. La Portman trascrive tutto ciò in immagini non banali, certamente inesperte, ma piene di possibilità e spicca l’originalità di un montaggio che potremmo definire semantico. In più la sua recitazione è profonda, attenta, eccentrica, magnetica. A quando un secondo film?

Sognare è vivere [A Tale of Love and Darkness, Israele/USA 2015] REGIA Natalie Portman.
CAST Natalie Portman, Amir Tessler, Gilad Kahana, Ohad Knoller, Makram Khoury.
SCENEGGIATURA Natalie Portman (tratta dal romanzo Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz) . FOTOGRAFIA Slawomir Idziak. MUSICHE Nicholas Britell.
Biografico, durata 95 minuti.

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