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La signora dello zoo di Varsavia

sabato 18 Novembre, 2017 | di Erasmo De Meo
La signora dello zoo di Varsavia
In sala
1
Voto autore:

Tratto (ancora) da una storia vera
La dicitura “Tratto da una storia vera” è uno dei peggiori malanni del cinema contemporaneo. Esibito o quasi ostentato, anche nei trailer, è assunto a miglioratore assoluto di un qualsiasi prodotto.

Come se, delle due l’una, il pubblico non avesse più capacità d’astrazione e per attrarlo ed emozionarlo non basti più il verosimile o la semplice immedesimazione, ma sia necessario il già realizzato o, al contrario, come se il cinema non si fidasse più delle proprie forze e non essendo certo di saper tenere sulle sue spalle nuovi mondi di finzione si rinchiudesse nel già noto e già giudicato. mediacritica_la_signora_dello_zoo_di_varsavia_290La signora dello zoo di Varsavia soffre di questo morbo, pone le mani avanti dichiarandosi dall’inizio storia vera, storia “importante”, e cerca di aggrapparvisi per tutto il film, lasciando sottintendere quello che è già noto a tutti: l’invasione tedesca in Polonia, le deportazioni, la resistenza polacca, le atrocità militari, la violenza diffusa. Ma il già noto scade in figure senza ombra e in ritratti monodimensionali: ruoli e non personaggi. Antonina Żabińska – interpretata da Jessica Chastain, la cui bravura sta solitaria un gradino più in alto del resto – è la moglie del direttore dello zoo di Varsavia ed il rapporto stretto e quotidiano con le diverse specie di animali l’hanno abituata all’idea di pacifica convivenza tra specie anche lontanissime tra loro. È per questo che l’idea di razza e di purezza professata dal vicino nazismo tedesco la sconvolge ed inquieta. Quando l’idea diventa azione lo fa con una forza inaudita: decine e decine di aerei sorvolano Varsavia e lo zoo viene pressoché distrutto, le gabbie e le protezioni cedono e gli animali prendono a vagare per le vie della città, come se dopo quella barbara azione la distanza tra essere umano e istinto animale si sia visibilmente assottigliata. Lo zoo così svuotato diventa il nascondiglio per centinaia di ebrei sfuggiti ai persecutori che, con l’aiuto di Antonina e di suo marito Jan, superano la guerra indenni. In questo mondo ricostruito in foggia manichea manca il grigio e il confine labile, l’unico risicato accenno è racchiuso in una coppia di fidanzatini che si scattano delle foto in posa di fronte ai cancelli del ghetto di Varsavia, mentre sullo sfondo grida e percosse sono attutite e offuscate da un perverso senso della giustizia. Quando Antonina per consolare una ragazza violentata da due soldati le regala un coniglio le dice che la bellezza degli animali sta nel fatto che “li guardi negli occhi e sai quello che hanno nel cuore”, non c’è il dubbio che pervade e anima gli uomini. Ma è qui l’errore del film: solo col dubbio e con la zona grigia i personaggi si animano, un film può diventare cinema e una storia può reggersi in piedi diventando più vera di una “storia vera”.

La signora dello zoo di Varsavia [The Zookeeper’s Wife, USA 2017] REGIA Niki Caro.
CAST Jessica Chastain, Daniel Brühl, Johan Heldenbergh, Val Maloku.
SCENEGGIATURA Angela Workman (tratta dal romanzo Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman). FOTOGRAFIA Andrij Parekh. MUSICHE Harry Gregson-Williams.
Drammatico/Biografico/Storico, durata 127 minuti.

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