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In questo numero

La congiunzione di suono e immagine

sabato 27 Ottobre, 2018 | di Erasmo De Meo
La congiunzione di suono e immagine
Sounds good
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SOUNDS GOOD
L’immagine che non suona
Al cinema l’immagine ha bisogno del suono e viceversa, indietro non si torna. Ma cos’è il suono di un’immagine? E ogni immagine ne ha uno soltanto uno?

Sarà capitato anche a chi legge: guardando un film, un episodio di una serie o anche un programma tv sottotitolato, anche nel caso in cui i dialoghi siano nella propria lingua madre, non si riesce a non leggere. Sembra quasi ci sia un istinto irrefrenabile a controllare visivamente che quanto ascoltiamo sia corretto e, nel caso di piccole differenze – sono frequenti, non per errore, ma perché c’è una certa “traduzione” tra lingua parlata e lingua scritta – si prova sempre una certa soddisfazione, quasi di ricchezza svelata e conquistata. È il predominio dell’occhio sull’orecchio. Nella vita di tutti i giorni riusciamo molto più facilmente a fare a meno dell’udito che della vista, basti pensare agli auricolari mentre siamo per strada o alle automobili rese “isole sonore” da volumi tanto alti da annullare ogni suono esterno. Nessuno si sognerebbe di fare il contrario, passeggiare ad occhi chiusi o guidare in autostrada leggendo un libro. Eppure fisicamente l’udito è molto più sviluppato della vista, è molto più sensibile e raffinato e in un secondo catturiamo e analizziamo molti più suoni che immagini, ma il “se non vedo non credo” domina l’esperienza quotidiana.
Il cinema è etimologicamente la “scrittura del movimento” ed è nato senza specificare la natura di tale movimento; parve scontato, almeno inizialmente, che ci si riferisse al movimento delle immagini, alla conquista fotografica del tempo, oggi possiamo attribuire quel movimento anche al suono, alle dinamiche narrative, alla compresenza di luoghi ed epoche differenti ottenuta col montaggio, all’inserirsi di un titolo in una storia artistica e sociale in cui un film, mostrandosi, si muove. Di certo, dopo più di un secolo di fruizione cinematografica, l’associazione tra questi movimenti e la percezione simultanea di essi è scontata, ma, sia per lo spettatore più esteticamente attrezzato, sia per quello più “leggero”, il legame più forte e di conseguenza il più difficilmente scindibile è quello tra immagine e suono.
Personalmente non ho mai letto o ascoltato un commento ad un film recente, anche tra i più elaborati, che facesse un’osservazione riguardo un personaggio che nell’immagine stesse pronunciando “proprio” la stessa frase diffusa dagli altoparlanti: sarebbe ovvia e banale?
Probabilmente sì. Sarebbe tanto inopportuna? Assolutamente no! mediacritica_singing_in_the_rain_290La naturalezza appare tanto più scontata quanto più il mezzo di riproduzione è potenzialmente fedele. Ci si stupisce di quanto un volto dipinto sia realistico, di quanto una figura umana scolpita e levigata sembri vera, ma non ci si stupisce di quanto immagine e suono siano sincronizzati o di quanto siano capaci di simulare la presenza in un ambiente. O meglio non ce se ne stupisce più, perché i progressi tecnici hanno reso tali pregi connaturati allo stesso mezzo di riproduzione.
Abbiamo però la possibilità di tradire questa fedeltà, rinunciando consapevolmente alla tecnica o, da un punto di vista diverso, usandola appieno: perché un pregio se è garantito smette di essere tale. Di piccoli tradimenti ce ne sono innumerevoli in ogni film, ma fanno parte di consuetudini tecnico-narrative di cui parleremo qui su Mediacritica con una rubrica apposita a partire dai prossimi numeri. Altra cosa è tradire in toto il sincronismo o non garantire la stessa presenza di una componente sonora. Facciamo un esempio, estremo ma neanche troppo: oggi sarebbe possibile produrre e distribuire un film muto? Con muto intendo un’opera dove alle immagini di personaggi che parlano non corrisponda prevalentemente un sonoro sincronizzato con le stesse battute, un’opera per cui non si fanno imposizioni né previsioni sull’eventuale sonorizzazione. È ben noto il caso di Star Wars: gli ultimi Jedi (2017) in cui una scena di alcuni secondi, priva di sonoro per scelta artistica, suscitò lamentele e preoccupazioni tra gli spettatori fino a rendere necessaria l’esposizione di un avviso, all’ingresso di alcune sale, che avvertisse che il silenzio non sarebbe dipeso da un guasto tecnico. Non c’è esempio recente migliore per dimostrare la percezione diffusa della funzione ancillare del suono rispetto all’immagine: il suono visto come amplificatore del significato dell’immagine e non come portatore di un significato autonomo, eventualmente in dialogo con l’immagine. Al contrario però si deduce che un’immagine senza suono appare incompleta, malfunzionante: un film muto, di conseguenza, sarebbe oggi impossibile, escludendo i casi in cui gli intenti siano celebrativi, nostalgici, anticontemporanei: in una parola, innocui. Abbiamo sempre fatto fatica a riconoscere al linguaggio sviluppato col cinema muto un potere specifico che, aldilà di vincoli temporali e tecnologici, potrebbe ancora esprimersi appieno: siamo diffidenti nei confronti dell’autonomia dell’immagine e ancor di più oggi. Sui social network un’immagine appare impersonale se è senza didascalia o senza hashtag; nei musei i visitatori raramente rinunciano a sbirciare l’etichetta di fianco all’opera con autore, titolo, tecnica e anno. Abbiamo in definitiva bisogno di qualcosa che “collochi l’immagine”, che sia in un flusso, in un percorso stilistico o storico o anche solo in un significato possibile.
Il suono nel cinema non è stato che questo: al suo esordio collocò i talkies nella modernità; le colonne sonore impresse su pellicola collocarono motivi, personaggi e sequenze nella memoria collettiva; l’introduzione dell’elettronica e lo sviluppo di cliché aiutò la differenziazione in generi; lo sviluppo di sistemi di altoparlanti sempre più immersivi ha collocato il film attorno allo spettatore e non più solamente di fronte ad esso; lo streaming, infine, ha portato gli altoparlanti stessi nelle orecchie dello spettatore, realizzando quella monadizzazione del pubblico, più volte teorizzata nel secolo scorso.
Il suono come dimensione aggiunta dell’immagine, quindi. Partiamo da qui, avremo modo di parlarne a lungo.

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