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Gris

sabato 27 Aprile, 2019 | di Erasmo De Meo
Gris
videogiochi
1
Voto autore:

Leggerezza e solidità
Gris è la storia di una caduta. Una ragazza dalla voce sublime, bellissima d’aspetto, delicata e sofferente, cade in un mondo irriconoscibile, stravolto, colmo di rovine e di timore. Coperta di un manto scuro, si aggira su gambe sottilissime, in cerca di segni di vita. Li ritrova in piccole stelle, che una volta avvicinate la seguono fedeli, come armi di leggerezza.

Non c’è spiegazione apparente, sembra che il mondo abitato dalla ragazza sia stato travolto da una catastrofe che ha tagliato fuori, per prima, la bellezza. È il suo canto spezzato ad annunciare il crollo della precedente civiltà: è la fine del suo canto a segnare la desaturazione dei colori – e della vita – rivelando un paesaggio in bianco e nero.
Per afferrare Gris in tutta la sua pienezza tre cose sono essenziali: conoscere cos’è una cariatide, avere familiarità con almeno una teoria del colore ed essere disposti a non avere fretta. Partiamo dall’ultimo aspetto. Gris è un gioco che può durare oltre le tre ore, accorciarlo vorrebbe dire consumarlo troppo in fretta e non rendergli giustizia. Le tre ore si accordano con un gameplay scorrevole e senza troppi intoppi, ma Gris richiede, quasi reclama, la sosta. In un quadro o nell’altro fermarsi, guardare i piccoli movimenti degli alberi, il fluttuare del vestito della ragazza, seguire gli uccelli, ammirare gli acquerelli, le geometrie, le lontananze: lo scorrere del tempo oltre lo scorrere del gioco. Vi è un’estetica dell’attesa che scavalca quasi anche il giocare stesso: si gioca per vedere, per vedere altro, per vedere ancora.
Lo stile di gioco di per sé è essenziale, quasi non si voglia attirare sul gioco l’attenzione e distrarre la fascinazione. Nelle fasi più concitate, quelle in cui si lotta con una creatura negativa e oscura che non si identifica – è una donna, è un uccello, è una murena – sembra quasi che il filo del gioco si perda. Il filo è infatti tutto visivo e l’azione vera, dinamica, concitata, la fanno i colori. Ogni livello è dominato da una colorazione e da un elemento naturale: il rosso del fuoco e del vento, il verde della terra, il blu dell’acqua e ovunque un rosa pastello che indica il fiorire, il rinascere. La ragazza assiste e allo stesso tempo induce trasformazioni tonali. È il suo ricordo – del mondo trascorso, dell’equilibrio perduto – che inizialmente reintroduce il colore nel freddo bianco e nero post-caduta. È il suo risvegliare le macchine, gli automatismi, gli ingranaggi scomposti di indefinite strutture apparentemente inutili a rimescolare le tinte, a creare nuovi colori. La metamorfosi del paesaggio e della donna corrisponde gradualmente ad un’acquisizione di capacità di movimento e di agilità che sono, metaforicamente, capacità di sapersi muovere in habitat sempre diversi: la ragazza sa farsi granitica come la pietra, leggera tanto da camminare sugli uccelli, sa nuotare senza più necessità d’aria e così abitare gli abissi, i ghiacciai, il deserto e le torri vertiginose, in un continuo movimento, verso l’alto e verso il basso, che non è altro che l’alternarsi di un’ascensione all’ineffabile e una condanna a scivolare nel ricordo e nel realismo. Ovunque nel mondo di Gris si incontrano statue di pietra, spesso tristissime, spesso in frantumi, il più delle volte raffigurate con mani aperte, che porgono o che attendono un’offerta. La ragazza nasce e si rigenera proprio tra queste mani. Sono donne che “sostengono”, sono cariatidi. Condannate al peso e allo stesso tempo indispensabili a tenere tutto in piedi; esprimono fatica, dolore, ma anche tenacia, speranza, resistenza a chi vorrebbe annullarne l’identità. La protagonista è una di esse, ma è fatta di carne: sostiene il mondo e infine lo salva col suo canto che fa sbocciare i fiori.

Gris [Spagna 2018] SVILUPPATORE Nomada Studio.
DISTRIBUZIONE Devolver Digital. PIATTAFORME PC, MacOSX, Nintendo Switch.
Platform, durata 180 minuti (circa).

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