Media images and the innermost reality of a building have two separate lives which do not necessarily coincide at any given moment. By enjoining us to see the reality of the simulacra created by the media, “koolhaas Hous Life” represents the leadign edge to an interpretative approach of the physical and objective reality of a given space.
Stefano Boeri
Dopo la premiere all’Università di Harvard nel febbraio 2008, la presentazione alla Biennale di Architettura di Venezia nel settebre 2008 e dopo il lungo articolo apparso sulle pagine della rivista di architettura“Abitare”, il film-documentario Koolhaas HouseLife ha iniziato un travolgente tour attraverso le maggiori istituzioni accademiche e culturali di architettura in Europa, come il NAI, l’Istituto Olandese di Architettura, e in Nord America e sta rapidamente assumendo la forma del ‘cultmovie’, per l’argomento che tratta ma soprattutto per la sua forma.
Nella pubblicazione che accompagna il film e che costituisce un indispensabile compendio all’opera, Joseph Grima, direttore della Storefront for Art and Architecture, una galleria d’avanguardia e uno spazio eventi nella città di New York che incentiva la promozione di posizioni innovative in architettura, arte, design e pratiche territoriali, pone l’accento sulla mancanza, in questo momento di sovraesposizione mediatica dell’architettura, o perlomeno di quelle figure così spettacolarmente definite “archistar”, di uno sguardo rivolto alla vita quotidiana che si svolge all’interno degli edifici più noti dell’architettura contemporanea.
È in questo contesto che si inserisce il film Koolhaas HouseLife diretto dall’italiano Ila Bêka e dalla francese Louise Lemoîne, primo capitolo di una serie di documentari dedicati a complessi architettonici realizzati dalle archistar che prende il nome di Living Architecture.
Da Koolhaas HouseLife emerge una lettura inedita e sorprendente, e a tratti anche divertente e ironica, da parte di “non addetti ai lavori” relativamente ad alcuni aspetti della progettazione contemporanea. Il progetto audiovisivo di Bêka e Lemoîne si colloca a cavallo tra letteratura, fotografia e un esperimento cinematografico sospeso tra documentario e video arte. Il film indaga infatti gli spazi iper-mediatizzati dell’architettura attraverso la semplice contemplazione della vita quotidiana. L’intento è quello di rimettere in discussione la schiacciante egemonia odierna di edifici che interpretano il ruolo di unici protagonisti dell’architettura, per riappropriarsi di questi spazi come luoghi di vita. Questo metodo tende ad invertire l’immagine ideale e sacralizzante che la stampa specializzata e la cultura mediatica contemporanea promuovono degli edifici delle star dell’architettura, tutti costruiti esclusivamente da progettisti premiati dalla più alta onorificenza del settore, il “Prizker Price”, mettendo in luce più l’attività che li anima che le loro qualità formali.
È la semplicità del quotidiano, la bellezza ma anche la fragilità dell’architettura che Ila Bêka e Louise Lemoîne ci svelano attraverso racconti e testimonianze di persone che vivono, frequentano o curano la manutenzione di spazi fuori dall’ordinario. La comunanza dell’interesse multidisciplinare di Ila Bêka, regista, architetto e co-fondatore della casa di produzione BêkaFilms, e di Louise Lemoîne, sceneggiatrice di documentari e fiction, che scrive per riviste d’arte e d’architettura, unito a un comune sguardo verso il sociale, ha dato luogo a un progetto cinematografico che sfonda il limite dell’opera al servizio del professionista o dell’oggetto da rappresentare (si vedano i documentari dedicati ai progetti architettonici, o, gli esempi dei film di Pollack Sketches of Frank Gehry e di Nathaniel Khan My Architect, sul padre Louis Khan) per offrire un’occasione di riflessione comune sia allo spettatore casuale, che all’architetto, al cineasta e all’artista video.
Koolhaas HouseLife è un film-documentario su uno dei capolavori più recenti dell’architettura contemporanea, la Casa a Bordeaux costruita tra il 1994 e il 1998 da Rem Koolhaas, architetto, urbanista e intellettuale (i suoi Delirious New York e Junkspace sono considerati a tutti gli effetti degli scritti di culto per l’architettura e l’urbanistica contemporanea). La Casa a Bordeaux è un luogo di pluralità con il suo caos, il suo deterioramento e i suoi cambiamenti e il lavoro di Bêka e Lemoîne ci offre un ritratto della reale e mutevole vitalità di uno di quei monumenti architettonici innalzati al rango dell’immortalità.
Il film si sviluppa attraverso le storie e le quotidiane faccende domestiche di Guadalupe Acedo, custode e governante della casa, e delle altre persone che provvedono alla manutenzione dell’edificio. L’approccio intellettuale del film di Bêka e Lemoîne parte anche da altre premesse. Le loro influenze potrebbero essere fatte risalire, suggerite in parte anche dagli autori, all’opera di Jacques Tati, che con Mon Oncle (1958) e Playtime (1967) traspone il discorso dell’incomunicabilità tra esseri umani su un piano ludico, dove le case e gli edifici, esempi costruiti secondo i canoni del mito della modernità, passano da semplice sfondo dell’azione a soggetto, talvolta ingombrante e ostile, su cui si posa lo sguardo critico e tuttavia sempre comico del regista.
Ma la mimica e le azioni di Guadalupe Acedo, oltre che fare il verso a Tati, vanno direttamente nella direzione della più profonda delle tematiche di Buster Keaton, che nel 1920 inizia infatti a trattare l’estraneità del mondo e l’impossibilità di vivere in armonia con la realtà in una serie di cortometraggi in cui lo spazio domestico e l’architettura diventano protagonisti principali delle gag comiche dell’attore-autore americano. One week (1920), The Scarecrow (1920) e The Electric House (1922) giocano in maniera molto incisiva, libera da qualsiasi critica moralista, su temi cari alle avanguardie architettoniche del tempo-serialità, macchina per abitare, innovazione tecnologica. In Koolhaas Houselife, il joystick, protagonista di uno degli episodi, appare quasi una citazione di quello dell’inventore di The Electric House.
Proprio in quegli anni venivano progettati e realizzati i primi edifici icone del Movimento Moderno, ed è proprio da quei tempi che appare sempre più evidente come l’occhio della macchina da presa sia il solo ed il più indicato a disvelare la complessità dello spazio architettonico.
Koolhaas Houselife [id., Italia/Francia 2008] REGIA Ila Bêka, Louise Lemoîne.
Documentario, durata 58 minuti.