I ragazzi stanno bene…le mamme un po’ meno
I film di Lisa Cholodenko appartengono a quello specifico sottogenere del cinema indipendente americano comunemente chiamato “cinema da Sundance”.
Non a caso il suo debutto è avvenuto nel 1998 proprio al celebre Film Festival presieduto da Robert Redford con High Art, cui hanno poi fatto seguito Laurel Canyon, Cavedweller e le regie di alcuni episodi di serie televisive come Homicide, Six Feet Under, The L Word e Hung. Ragazzo squillo.
Nonostante la volontà, più volte dichiarata, di avvicinarsi con I ragazzi stanno bene ad un pubblico ampio e mainstream, la Cholodenko è rimasta fedele al suo stile minimalista, sussurrato e intimista. La quotidianità della famiglia formata dalla coppia lesbica Nic e Jules e i loro due figli adolescenti Joni e Laser, concepiti tramite inseminazione artificiale, viene, fortunatamente, presentata senza un atteggiamento militante e politico ma con estrema naturalezza e spontaneità. A turbare il delicato equilibrio famigliare è l’entrata in scena di Paul, il donatore di sperma utilizzato dalle due donne e quindi padre biologico dei due ragazzi.
Sebbene alcuni dialoghi siano piuttosto brillanti e divertenti, il principale punto debole del film risiede proprio nella sceneggiatura, in parte autobiografica, scritta dalla Cholodenko insieme a Stuart Blumberg, che ripropone vecchi stereotipi di genere e dinamiche di coppia convenzionali e schematiche. Inspiegabilmente “fallocentriche” (per eccitarsi ricorrono all’uso di film porno gay maschili), Nic e Jules riproducono ruoli tipici delle coppie eterosessuali più conservatrici e tradizionali: la dottoressa mascolina e rigida interpretata da Annette Bening è la matriarca normativa e autoritaria che provvede al mantenimento della famiglia mentre la più femminile e affettuosa Julianne Moore è la classica moglie e madre casalinga un po’ irrisolta e frustrata. Non a caso sarà proprio lei a subire il fascino di Paul, eterno Peter Pan irresponsabile e piacione. Un escamotage narrativo quello della “sbandata/scappatella etero” di un personaggio gay, non bisessuale, poco credibile e purtroppo già visto molte, troppe volte in altri film a tematica omosessuale, che origina sequenze grottesche e ridicole (su tutte, l’espressione della Moore quando vede per la prima volta il pene di Mark Ruffalo) e denuncia un forte vuoto creativo.
Ancora una volta si è rinunciato a raccontare l’autenticità della realtà omosessuale, in particolare dell’omogenitorialità, preferendo ricorrere a facili e discutibili scappatoie narrative nel vano tentativo di movimentare una storia debole e troppo scontata.