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I ragazzi stanno bene

lunedì 14 Marzo, 2011 | di Chiara Checcaglini
I ragazzi stanno bene
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Ritratto di un’ordinaria famiglia non convenzionale
Quando una famiglia composta da due figli sufficientemente svegli, Joni e Laser, e due genitori benestanti – poco importa se entrambi donne – funziona (im)perfettamente come tante, l’intromissione di una superflua figura paterna può rivelarsi estremamente problematica; soprattutto se costui è il donatore che permise il concepimento dei ragazzi, da loro scovato in un impeto di curiosità.

I ragazzi stanno bene racconta di un matrimonio che si incrina e di incomprensioni sotterranee che emergono, sospinte da un agente esterno di nome Paul.
La mamma casalinga è Jules, post-hippy ambientalista che vorrebbe lavorare ma è indecisa sul come; Nic, medico, è invece il pilastro finanziario e autoritario della famiglia; Paul è l’alternativo piacente allergico alle responsabilità relazionali. Il film insomma non si sottrae da qualche cliché del cinema indie/liberal: famiglia intellettualmente elevata, con almeno un figlio su due più intelligente della media, vs. lavoratore cool (qui ristoratore biologico) che si è fatto da sé. Tuttavia i tre interpreti riescono a dare il giusto spessore ai personaggi: la fisicità nervosa di Julianne Moore, la micromimica di Annette Bening, lo sguardo stralunato e le movenze goffe ma accattivanti di Mark Ruffalo funzionano, coadiuvati da una regia capace di indugiare sui volti e sulle reazioni, in particolare nelle tante scene conviviali.
Altro punto di forza del film è la scrittura, dall’adeguata introduzione dei personaggi (l’interesse di Laser per figure maschili/paterne, l’insicurezza di Jules, la scrupolosità di Nic, le capacità di Joni, il tutto in poche battute all’ora di cena), alle simmetrie nel tratteggio dei figli, entrambi alle prese con amici più o meno affini e con i primi interrogativi sul sesso, alla descrizione degli adulti in crisi. Apprezzabile il tentativo di mitigare la dicotomia dei ruoli paterno/materno nella coppia gay, da un lato essendo le protagoniste entrambe madri, dall’altro tramite una sorta di “femminilizzazione” di Nic (ad esempio quando, ancora a tavola, improvvisa Blue di Joni Mitchell).
Le difficoltà si affrontano, metabolizzano, superano: fino ad un finale a prima vista normalizzante, ma in realtà scelta insolita proprio perché estromette una parte abitualmente fondamentale dell’equilibrio familiare ordinario.

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