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13° Far East Film Festival: retrospettiva “Asia Ride!”

venerdì 6 Maggio, 2011 | di Filippo Zoratti
13° Far East Film Festival: retrospettiva “Asia Ride!”
Festival
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13° Far East Film Festival, 29 aprile – 7 maggio 2011, Udine

L’insostenibile leggerezza della commedia orientale
Come piccoli tasselli di uno stesso puzzle, ogni anno le retrospettive di Far East Film Festival contribuiscono a colmare lacune e buchi neri della misconosciuta (per il pubblico occidentale) storia cinematografica asiatica.

Frammento dopo frammento, per iniziare a (ri)comporre il quadro si è passati attraverso i focus sulle case di produzione, le vetrine dedicate ai registi e i tributi ai generi, come l’omaggio al musical realizzato nel 2006 intitolato Asia Canta! È riallacciandosi a quel riuscito precedente – e dopo un lavoro di ricerca e labor limae durato sei anni – che l’edizione numero 13 del festival friulano ha deciso di proporre un omaggio alla commedia panasiatica, stavolta chiamata Asia Ride! MichaelHui(a sottolineare il carattere di panoramica “gemella” rispetto a quella musicale) curata da Roger Garcia. Lungi dal potersi definire esaustiva e completa Asia Ride! è un prezioso e denso assaggio, nato quale evento collaterale rispetto alla gara ufficiale e cresciuto di giorno in giorno tra le risate, la curiosità e l’interesse degli spettatori. D’altronde, mentre il porno soft giapponese (altrimenti detto Pink Eiga) è già stato scandagliato lungamente e in verità l’ulteriore analisi di quest’anno suona più come coronamento e simbolica chiusura del cerchio, il cinema comico orientale restava tutt’ora un territorio inesplorato. Ed è per questo che le 22 opere offerte alla platea del Far East costituiscono un viaggio pioneristico e inatteso, un’indagine approfondita del genere nella varie forme che ha assunto in Cina, Hong Kong, Giappone, Corea (le 4 nazioni asiatiche più rappresentate e rappresentative), ma non solo. Di fronte agli Stanlio e Ollio taiwanesi (Brother Wang and Brother Lui on the Road in Taiwan, 1959) e allo slapstick a là Buster Keaton (Mr. Wang got a Meal Hardly, 1939), alle imitazioni malaysiane di James Bond (Mat Bond, 1967) e alla rappresentazione farsesca del travestitismo filippino (Jack and Jill, 1954) il pubblico “vergine” scopre sì diverse modalità di vis comica rispetto a quella hollywoodiana di cui è intrisa la cultura europea, ma più di tutto osserva racconti rivolti alla classe lavoratrice, in cui la scelta comica non è un fine quanto un mezzo: nell’ironia e nel passo lieve della commedia si riflettono lotte politiche e culturali, nuove identità da ricercare e le transizioni – soprattutto nei film del dopoguerra –  dall’economia di stampo rurale a quella di tipo industriale. Il tutto attraverso divi iconici molto popolari in cui riconoscersi, personaggi malinconicamente sfortunati come Charlot e stralunati come il Monsieur Hulot di Jacques Tati o l’ispettore Clouseau di Peter Sellers. Non sfugge a questa logica il cinema del “picchiatello di Hong Kong” Michael Hui, cui la kermesse udinese nella giornata di domenica 1 maggio ha consegnato – per la prima volta nella storia della manifestazione – il premio alla carriera Gelso d’Oro. Le gag oltraggiose e la satira sociale dei film di Hui, accompagnate da elevati valori produttivi mai visti prima nella commedia hongkonghese, sono state le vere rivelazioni della rassegna. Se The Private Eyes (1976, tradotto inopinatamente in italiano con Non c’è molto da scegliere tra i due) fu un’opera archetipica che influenzò le successive generazioni di cineasti (ora sappiamo da dove nasce la creatività demenziale di Austin Powers), è con Chicken and Duck Talk (1988) che si arriva all’epifania, al perfetto dosaggio di tempi comici e analisi sociale contemporanea. Spesso al Far East ci si lamenta della qualità media delle pellicole in concorso proposte, senza rendersi conto che è la produzione interna dei vari Paesi a suggerire la scelta (ovvero: se l’annata cinematografica 2010 in Corea è stata mediocre, naturalmente la qualità dei film coreani proposti sarà medio-bassa). Eppure basterebbe un po’ allargare la propria visuale, per scoprire piccoli imperdibili e inaspettati (e proprio per questo ancora più fulminanti) capolavori.

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