Rimembrando il naufragar m’è dolce…
“S’ha da aspettà Ama’. Ha da passà ´a nuttata”; queste sono le ultime parole di Gennaro Iovine, nella pièce teatrale Napoli Milionaria!, scritta da Eduardo De Filippo nel 1945. A tutti gli spettatori, sintonizzati su Rai 1, mercoledì 4 maggio non può che essere ritornato alla mente il volto scavato, intenso, “patetico” di De Filippo che raccontava con il suo Gennaro tutto lo strazio dell’Italia dolente, attraversando il secondo conflitto mondiale.
La commedia venne messa in scena per la prima volta il 5 marzo 1945 al Teatro San Carlo di Napoli e divenne un film nel 1950 con la regia dello stesso che fu anche sceneggiatore e si occupò di scegliere il cast.
Ma non c’è più Eduardo, né Totò, c’è solo un factotum che realizza un progetto davvero ambizioso: riportare il teatro in televisione. Il suo nome è Massimo Ranieri che dichiara, dimostrando intelligenza e “lungimiranza”: “Io credo che ci sia un gran bisogno di rientrare nella parola, non se ne può più di star a vedere: Eduardo è passato in tv l’ultima volta 35 anni fa”.
Probabilmente tutti abbiamo un po’ bisogno di “rientrare nella parola”, basti pensare che già Filumena Marturano, il primo lavoro rifatto dal nostro, ha avuto un grande successo di pubblico e di critica; la stessa sorte è toccata a Napoli Milionaria! – con la regia teatrale di Ranieri e televisiva di Franza di Rosa – che ha registrato 4.957.000 telespettatori, pari al 19.28% di share con una controprogrammazione competitiva: l’ultima puntata della serie Mediaset Non smettere di sognare e il programma sagace e brillante Le Iene.
I numeri registrati dall’opera “eduardiana” hanno grande importanza e i motivi girano intorno allo spettatore: sia perché in questo modo si apre una scatola di ricordi che ci rammentano cosa siamo e da dove siamo partiti; sia perché il pubblico non è, su un’ Isola dei famosi, un Grande Fratello, che ha solo un ordine kantiano di Non smettere di sognare mai, ma se gli viene data la possibilità è in grado di comprendere e apprezzare un lavoro ben fatto.
È sempre difficile analizzare un’opera soprattutto quando gli archetipi sono così illustri, lo scontro è impari, il passato vince sul presente, ma, vivendo dell’ideologia “una volta tutto andava meglio”, non si può fare una “buona” critica onesta e lucida.
Iniziamo dal linguaggio: Ranieri fa una “traduzione”, esemplifica il testo, portandolo dal napoletano all’italiano – mantenendo il dialetto in alcune situazioni decisive. L’italiano toglie o aggiunge al testo? Spiace dirlo, ma toglie. La parlata dialettale dava alle battute un senso, un sapore unico che la lingua “pura” non ricrea. L’intento audace di voler arrivare al maggior numero di telespettatori in parte sortisce l’effetto opposto e la “volgarizzazione” sottrae; non basta una cadenza partenopea per riportare in vita il dramma del protagonista che scopre cos’è diventata la sua famiglia durante l’assenza forzata e il torbido senso pratico di donna Amalia che di fronte a quella Napoli, messa in ginocchio dalla guerra, vive di mezzi illeciti.
Il fulcro della Napoli 2011 sono Ranieri/Gennaro, De Rossi/Amalia, De Caro/Enrico Settebellezze; il personaggio di Totò ha perso il valore che solo la maschera de Curtis poteva dare, infatti nella trasposizione televisiva, la famosa scena della finta morte, metafora della paura e della sfrontatezza di coloro che per sopravvivere farebbero qualsiasi cosa, ricade sulle spalle di Ranieri che sopporta bene questo peso, dando al personaggio umanità, disperazione e sentimento. L’Amalia della De Rossi è un’“industriale del nulla” sensuale e carnale, madre ancora più anaffettiva e insensibile, parvenue crudele, resa ancor più “diva hollywoodiana” dai colori sgargianti e “ricchi” del digitale. Il personaggio di De Caro ha maggior rilievo rispetto al lavoro del ’54 ed una perversa eleganza, innata nell’attore, dissonante con il contesto della vicenda.
Il progetto è riuscito. L’alto gradimento ottenuto è dato dall’amore, dal rispetto percepiti, con cui Ranieri tratta sia il Maestro che la loro Napoli; e forse è vero che il motivo principale per il quale è ancora così attuale è che, come dice Gennaro ma anche Ranieri: “la guerra non è finita”.