INEDITO USA 2003
Una vita (stra)ordinaria.
A ben vedere il solo motivo per cui un ottimo film come American Splendor non è stato distribuito in Italia è che racconta la vita di Harvey Pekar. Chi è Harvey Pekar? Appunto.
Nel 1980 a Cleveland, si contavano ben tre Harvey Pekar, uno dei quali – quello che ci interessa – è stato autore di un fumetto che ha conquistato l’America narrando niente più e niente meno che le proprie vicissitudini. La formula è tanto semplice quanto micidiale: nessuna straordinaria impresa superoministica ma pure storie di ordinaria follia, frammenti preziosi di quotidianità, consuete abitudini e banale routine. Insomma, la vita. Soltanto in vignette.
Di quest’icona del panorama underground il film di Shari Springer Berman e Robert Pulcini racconta, a sua volta, il percorso, partendo dalla provvidenziale amicizia del disegnatore Robert Crumb (James Urbaniak) per proseguire con il suo (terzo) matrimonio con la donna che si è rivelata la compagna di tutta una vita, Joyce Brabner (Hope Davis).
Il vero protagonista, tuttavia, resta senz’altro il fumetto, quell’American Splendor da cui la pellicola estrae titolo e vicende senza per questo scadere mai nella mera trasposizione. Il dialogo tra i media costituisce anzi l’aspetto più accattivante del film grazie ad una composizione attenta di elementi eterogenei, per origine e astrazione simbolica, integrati in un quadro sorprendentemente armonico.
Esemplare, in questo senso, è la figura dello stesso Pekar, il cui statuto ambivalente di individuo eccentrico e uomo comune trova nel fumetto una felice corrispondenza, data dalla varietà stilistica dei numerosi disegnatori- Crumb (Fritz Il Gatto), certo, ma anche Jim Woodring, Joe Sacco e Frank Stack- al punto che la stessa Joyce, prima di incontrarlo, non sa se aspettarsi “un giovane Brando o una scimmietta pelosa”.
Berman e Pulcini adottano quest’estetica polimorfa rileggendola in chiave audiovisiva e avvalendosi degli strumenti che il cinema mette loro a disposizione. Al vero Harvey Pekar, presente sul set, nelle interviste e in qualità di voce narrante, aggiungono il Pekar “di repertorio”, ospite del David Letterman Show, il Pekar-personaggio, meravigliosamente interpretato da Paul Giamatti, e i diversi Pekar-fumetto, disegnati e animati in modo da intervenire nel testo filmico con eccezionale disinvoltura e intelligente collocazione. La stessa sorte tocca, del resto, a Joyce e al collega Toby Radloff (Judah Friedlander), secondo una poetica dell’ “uno, nessuno, centomila” che è poi il segreto del fumetto stesso e del suo eroe (anti)convenzionale. Il richiamo ai comics non si ferma qui. Alternando pedinamenti documentari a schiaccianti camere espressive, inquadrature frontali ad inquietanti profondità di campo che fagocitano Harvey in file interminabili di scaffali e corridoi, il film rielabora il doppio registro del testo d’origine, con il nostro perennemente in bilico tra irriducibile solipsismo e anonimia seriale. E’ così che la forma costruisce il senso mentre il cinema omaggia il fumetto, eleggendo a matrice del reale la pagina/quadro che da bianca si riempe di vita o la griglia che frammenta l’esistenza in istanti unici, eppure legati, come piccole epifanie.
Ultimo merito, non per importanza, è il riuscito intento di restituire la complessità di un uomo al tempo stesso ottimista e disincantato, modesto ed egocentrico, spaventato dalla pochezza di un vivere senza gloria quanto dall’inutilità di un successo privo di vita. Capace, in ogni caso, del coraggio di reinventarsi, consapevole che la tranquillità è sfuggente e sempre precaria. Vale dunque la pena procurarsi American Splendor, se non altro per conoscere Harvey Pekar che ci ha lasciato lo scorso luglio ed è ancora così, splendidamente, attuale.