Cenere di sogni
“Ricordati che d’ora in avanti stai giocando col tempo”. Anche noi, come Spyros, ce ne ricorderemo. Con La Polvere del Tempo, secondo capitolo della “trilogia della terza ala”, Angelopulos torna a dispiegare i destini dei suoi amanti, Spyros (Michel Piccoli), Jacob (Bruno Ganz) ed Eleni (Irène Jacob), per poi incrociarli, intrecciarli e separarli di nuovo.
Sull’orizzonte del loro amore collassa mezzo secolo di Storia per lambire sponde distanti nello spazio fisico, riunite in un unico luogo interiore. Ricostruirne le tracce è l’impossibile utopia di A. (Willem Dafoe), regista in piena crisi familiare e creativa, incapace di appropriarsi di una storia che si ripete, avvolgendosi su se stessa, impallidendo fino a svanire. La sofferta ricerca della memoria si rivela impossibilità di fermare il ricordo, di rievocarlo in un’esistenza compiuta che non sia solo un riverbero di frasi dissociate. Come in un teatro a spettacolo concluso la bellezza del passato resta un’eco senza più il corpo. L’Eros e il Tanatos che furono sono ormai onirici, polverizzati, inattuati e inattuali, violentati dalla pochezza di un presente che con le sue scadenze e la sua arida freddezza, prosciuga ogni umanità, disfa i rapporti e infine li annega in un’insolente cacofonia. Angelopulos ne piange la deriva con pianisequenza brevi e cristallizzati, fotografie che uccidono senza documentare, come i frammenti sparsi di contemporaneità nel collage casuale sul muro di Eleni (Tiziana Pfiffner). Il treno di una felicità sospesa e continuamente procastinata sprofonda senza scampo nell’oblio della neve, nella nebbia inesorabile della nientificazione. Le ideologie sono crollate, i sogni mai vissuti non vogliono morire, mentre la Storia, pure così ingombrante e decisiva, è a volte niente più che un ronzio distratto della radio o un paesaggio appannato sul vetro sporco di un vagone.
Il mondo (e con esso la Grecia) si sgretola e non è concesso ricostruire sulle macerie. Dopo il tragico precipitarsi de La Sorgente del fiume (2004) si apre un capitolo inafferrabile, a-cronologico e dilatato, più volte accusato di anacronismo, di ostinata impotenza di fronte al reale. A volte il senso emerge dallo scarto, dal rifiuto consapevole di cercarne uno. Il prossimo, forse, sarà pura poesia.