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Nauta

lunedì 6 Giugno, 2011 | di Valentina Cauteruccio
Nauta
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Un road movie nel Mediterraneo
L’estasi della visione che si sprigiona nell’incontro perfetto tra uomo e natura. Questo è il punto di partenza per i personaggi di Nauta, il primo lungometraggio di Guido Pappadà.

Dalla ricerca di questo “incontro” inizia un viaggio di formazione per tutti e cinque i protagonisti, un road movie via mare, attraversando tutto il mediterraneo fino a un’isola della Tunisia dove Paolo, amico di Bruno, afferma di aver assistito a questo evento raro. In realtà è solo una visione procurata dall’eroina, una visione personale e non un evento collettivo. La pregressa esperienza del regista nel campo degli effetti speciali e della post produzione si nota nell’attenzione estetica che pone nel suo film. L’ambiente circostante, rappresentato dell’acqua solcata dalla barca, acquista quasi la funzione di elemento mistico per i protagonisti che portano avanti un legame viscerale con il mare che li circonda. L’intera vicenda si articola ed evolve all’interno dello spazio ristretto della barca, i personaggi, con una accennata complessità caratteriale che tenta di emergere, pur ben interpretati, faticano a convincere lo spettatore. Le loro storie personali non sono totalmente espresse, anzi, in alcuni momenti sono difficili da seguire e capire. Vengono immediatamente presentati in tutti i loro aspetti: l’unica donna, la giovane Laura (biologa raccomandata), appena salita sulla barca tira di cocaina; il comandante Davide si presenta scorbutico dalla prima scena; Lorenzo arriva in ritardo e il suo primo racconto è su una sua conquista straniera durante una gita. Solo il personaggio di Max aspetta qualche scena prima di esplicitare la sua omosessualità. Eppure dopo le presentazioni, per quanto dettagliate, null’altro ci meraviglia se non le bellezze ambientali, notevolmente accurate e messe in primo piano. Anche il lieto fine a tutti i costi rappresentato, fa sì che la storia ci appaia ancora più superficiale. Sembra quasi che a un certo punto si sia deciso di porre fine al film, senza pensare a sceneggiatura e personaggi. L’incipit, che strizza l’occhio al mistico e alla ricerca della quiete naturale, sembra un buon punto di partenza che, però, va a perdersi nell’attenzione costante allo sfondo e alle varianti di colore – modificate anche in post produzione – e alla ricerca di una perfezione scenografica.

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