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Hypnosis

lunedì 27 Giugno, 2011 | di Valentina Cauteruccio
Hypnosis
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Ancora metacinema?
Il protagonista Christian lavora in un multisala. La sua amica Alice torna a casa dall’America con il suo compagno Isaia. Isaia è uno psichiatra che si occupa di “ciò che non si vede”, Christian vede persone strane e non ha ricordi prima dei dieci anni.

L’ambientazione da multiplex rievoca, per forza di cose, elementi di cinema che parla di se stesso; seguendo il protagonista al lavoro lo spettatore origlia le proiezioni in sala e quando è a casa la televisione lo accompagna costantemente. Eppure più che metacinema sembra di assistere a una forzatura commerciale, visto che questo esordio horror italiano a basso costo è stato stranamente proiettato all’interno di una famosa catena di multisala dal logo che rievoca senza troppe sottigliezze, quello della Star in cui lavora Christian. Ma, nonostante l’ “appoggio” importante, l’esordio alla regia della coppia Tartarini/Goldstein lascia un po’interdetti. La prima parte del lungometraggio vuole essere una presentazione dei personaggi principali, ma è piatta e inconsistente e ricorda lo stile di una qualsiasi delle fiction nostrane. Nella seconda parte, quando il terzetto si trasferisce in un piccolo borgo sperduto e inquietante, emerge l’horror. Ma è un horror molto scopiazzato. L’idea di usare una telecamera e far scorrere attraverso questa il film, anche quando cade a terra, ricorda un altro film a basso costo, lo spagnolo Rec, mentre il finale con donna posseduta e dalla forza sovraumana che si trasforma di fronte allo spettatore, ricorda l’americano Paranormal Activity, anche questo un esordio dai costi molto contenuti. Nonostante il basso investimento a livello economico, i due horror sopra citati hanno avuto un successo sorprendente di pubblico. Forse la speranza per Hypnosis era quella di emulare non solo la storia ma anche il risultato economico. Probabilmente, però, le poche scene realmente riuscite e ben articolate, non basteranno da sole a sostenere l’intero impianto filmico costantemente inframmezzato da estenuanti dissolvenze in nero. E non basteranno neppure quei pochi, virtuosi, movimenti di macchina che si perdono nella durata del film.

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