Bologna 25 giugno – 2 luglio 2011
Ritratto di una nazione
Il cinema di Luigi Zampa è decisamente da riscoprire. Di difficile classificazione, i film di Zampa, alternando dramma e commedia, raccontano un Paese afflitto da problemi cronici e i suoi abitanti, notoriamente imbattibili nell’Arte di arrangiarsi. La retrospettiva Ridere civilmente. Il cinema di Luigi Zampa, presentata a Bologna da Alberto Pezzotta, nel programma 2011 del Cinema Ritrovato, rende giustizia a un autore spesso in anticipo sui tempi, considerato non a torto tra i precursori della commedia all’italiana.
Dalla trilogia sul fascismo (Anni difficili, Anni facili, L’arte di arrangiarsi), scritta con Vitaliano Brancati, al cinema di denuncia (Bisturi, la mafia bianca), Zampa si è sempre distinto per una rara capacità di rappresentare con precisione e acume l’Italia, senza tradire i gusti del pubblico. I suoi film, caratterizzati dalle brillanti interpretazioni di ottimi attori come Nino Manfredi, Alberto Sordi, Nino Taranto, Umberto Spadaro, senza dimenticare la straordinaria Anna Magnani dell’Onorevole Angelina, sono la migliore narrazione per immagini dell’immobilismo italiano.
Passano gli anni, cambiano i governi, ma non la piccola borghesia, sempre alla ricerca di stratagemmi per adattarsi, tenersi a galla e magari fare la scalata sociale. Anche a costo di perdere la dignità, come succede al Piscitello di Anni difficili, l’impiegatuccio siciliano costretto a diventare fascista, per conservare il posto di lavoro. Alla fine del ventennio, si ritroverà senza un figlio, morto in una delle guerre volute dal regime, e anche senza lavoro, licenziato da quello stesso podestà che ora siede al tavolo con gli americani.
Parte dalla Sicilia, diretto a Roma, anche il professor De Francesco di Anni facili, titolo ironico, visto quel che capita al protagonista, vittima della burocrazia e degli intrighi politici del dopoguerra. Accetterà con umiltà il carcere, condannato per corruzione, unico a pagare tra tanti disonesti.
Incapace di districarsi nel labirinto della politica capitolina è l’Angelina capopopolo del film del 1947. Combattiva borgatara, è allo stesso tempo, precocemente, squatter, femminista e organizzatrice di espropri proletari. Anche lei, paradossalmente sposata a un vicebrigadiere, finirà in carcere, dopo aver perso anche la fiducia della sua gente, e rinuncerà a farsi eleggere in Parlamento.
Non manca invece la spregiudicatezza politica al Sasà Scimoni dell’Arte di arrangiarsi, un Alberto Sordi simbolo del trasformismo italiano. Passato continuamente da una parte politica all’altra, a seconda della convenienza del momento, e anche lui finito in carcere, fonderà il partito degli ex carcerati, anticipando così il personalismo che ha caratterizzato la nostra scena politica negli ultimi decenni.
Con Anni ruggenti a Brancati succede come sceneggiatore Ettore Scola, ma il bersaglio principale della satira di Zampa rimane il fascismo. Nino Manfredi è un assicuratore scambiato per un gerarca arrivato in Puglia in incognito. Gli equivoci si susseguono, finché l’uomo, scoperta la verità, lascia il paese, non prima però di mandare all’aria il fidanzamento con la figlia di un fascista, presentandosi completamente ubriaco al ricevimento, in una memorabile ed esilarante sequenza.
Sorvolando sul tardo Bisturi, la mafia bianca e sui pur interessanti episodi La patente e Isa Miranda, contenuti rispettivamente nei film collettivi Questa è la vita e Siamo donne, è necessario, però, accennare a Processo alla città, il primo film sonoro sulla camorra. Ancora un altro film ambientato al Sud, dunque, ma la drammaticità delle vicende – è pur sempre un’indagine su un duplice omicidio – e la presenza di Amedeo Nazzari fanno sì che si differenzi da quelli descritti in precedenza. Un po’ troppo retorico e ambizioso, ma comunque godibile, ricorda In nome della legge, diretto da un altro regista per anni sottovalutato dalla critica, quel Pietro Germi che porterà il genere a cui Zampa ha dato il maggior contributo, cioè la commedia, alla maturità.