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Premio Sergio Amidei

mercoledì 20 Luglio, 2011 | di Redazione Mediacritica
Premio Sergio Amidei
Festival
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Gorizia 14-23 luglio 2011

L’Italia vista con gli occhi degli s-paesati
Il Premio Amidei per il suo trentennale ha celebrato l’Unità d’Italia in un modo inconsueto, scegliendo come punto di vista privilegiato lo sguardo degli immigrati.

Particolarmente interessante e nuova la scelta di un cinema dei migranti – inteso come prodotto degli stranieri appunto – per capire meglio chi siamo, guardandoci “con gli occhi dell’altro”. La retrospettiva propone una spaccato inedito dell’Italia in cui ogni documentario racconta una piccola storia che ci mostra cosa vuol dire fuggire dal proprio paese, parlandoci, allo stesso tempo, di cosa voglia dire “accoglienza”.  L’immagine dell’Italia non è certo lusinghiera, mentre la giovanissima Rom torinese Laura Halivovic nel film Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen chiede a dei passanti cosa pensano della sua gente o Mefehnja Tatcheu cerca inutilmente di chiedere informazioni nel documentario Con gli occhi dell’altro-Vuoi comprare?
Nel pomeriggio abbiamo incontrato Fred Kuwornu, autore di Inside Buffalo. Lui stesso si definisce  emblema della Scrittura migrante perché italiano pur avendo origini straniere, ma, come ha ricordato “anche quando ho lavorato negli Stati Uniti mi sono sentito un immigrato”.

Evidentemente alla base del suo documentario c’è un grande lavoro sui materiali. Come li ha gestiti?
Prima di tutto, rivedendolo mentre sto seguendo altri progetti, mi sono commosso, molte persone apparse nel documentario non ci sono più. Il lavoro dipende dal budget di cui uno dispone, io sono partito “low budget”. Ho usato delle immagini di repertorio; in America tutto ciò è gratuito. Il documentario doveva essere un’ unione di materiali d’archivio, interviste, e fotografie. Poi ci siamo accorti che il materiale non era sufficiente. Le immagini dei soldati americani erano sempre le solite: o guidavano jeep, o lanciavano cioccolata. Ho dovuto girare delle scene colmare questa lacuna e perché tutto fosse verosimile. In particolare abbiamo girato in Toscana e a Villa Borghese. Potete solo immaginare l’impressione che facevano dei soldati di colore vestiti con divise della seconda guerra mondiale. Mi è stato di grande aiuto internet e mi sono accorto che è una risorsa dal momento che chiunque ha la possibilità di realizzare un progetto, anche al di là dei confini nazionali.
Ha detto che sta lavorando ad altri progetti. Ce ne può parlare?
Negli ultimi anni ho raccolto diverse interviste a giovani immigrati di seconda generazione che vivono in varie parti d’Italia: l’idea è di farle diventare un documentario riguardo alla questione dello ius soli. Ad ottobre saranno presentate le interviste raccolte nell’ambito della campagna sociale  www.sononatoqui.it. Il documentario è solo un strumento per sensibilizzare la gente.
Abbiamo inoltre incontrato Mohamed Zineddaine,  sceneggiatore e regista di Ti ricordi di Adil?, che ci ha raccontato della sua esperienza di viaggiatore, trasferitosi dalla terra natia in Francia e poi in Italia:“andare e venire, sono io la prima persona. Sono un viaggiatore. Ho un piede sulla sabbia e uno sull’acqua. Mi tocca raccontare ciò che sono, non riesco a parlare di cose che non mi riguardano. Non so se è una scelta, è una necessità”.
Quali possibilità produttive vede per un cinema di tipo indipendente?
“A volte le possibilità rovinano”, diceva Welles. L’importante è lavorare con metodo e disciplina. Il primo passo è la sceneggiatura; c’è gente che ha soldi e gente che ha idee. Pensare ai soldi prima di scrivere mi sembra una follia. Il resto arriva da solo.
Martina Marafatto  e Mefehnja Tatcheu, l’una regista e sceneggiatrice, insieme a Giordano Bianchi di Con gli occhi dell’altro-Vuoi comprare?, l’altro protagonista in tutti i sensi dell’opera, ci hanno parlato della difficile e lunga gestazione del loro progetto.
Martina, come è nata l’idea di questo documentario che a ragione voi definite docu-fiction?
Il soggetto si ispira alla vita di Mefehnja. L’idea di produrlo è partita dall’associazione “Spaesati”. Le interviste sono tutte spontanee e vogliono indagare il motivo che spinge questi ragazzi a lavorare come venditori ambulanti. Lo stupore è comprendere che non è il desiderio della loro vita, ma una scelta quasi obbligata. La visione degli italiani che permea questo lavoro è piuttosto chiara e lo spettatore avverte un senso di disagio perché si sente colpito in prima persona.
Mefehnja, ci puoi raccontare nello specifico la tua esperienza qui in Italia?
Cercavo una banca e, chiedendo questa informazione ad un signore triestino, mi venne risposto di allontanarmi perché non “c’era aria”. Da lì la necessità di riflettere e capire.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono un mezzo attore. E’ un mestiere difficile ma non lo posso abbandonare. Recito in teatro da sette anni e per me è importante perché imparo ogni giorno, in tutti i sensi. Anche oggi ho scoperto cose di cui prima non sapevo niente.

Eleonora Degrassi e Valentina Di Giacomo

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