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Tekken

lunedì 8 Agosto, 2011 | di Mattia Filigoi
Tekken
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I picchiaduro al cinema picchiano ben poco
Non è la prima volta che un videogame picchiaduro viene sbattuto a forza sullo schermo cinematografico, “illustri” precedenti anticipano questo Tekken (regia di Dwight Little): Mortal Kombat di P.W.S. Anderson e Street Fighter di E. Da Souza (per non parlare di Dead or Alive, di Corey Yuen).

In tutti i casi, il risultato è stato pessimo. Nei picchiaduro la trama è sempre stata un optional, espressa magari nelle caratterizzazioni dei personaggi, anche se a renderli memorabili erano i loro colpi speciali, più che la loro storiella personale in stile Sentieri. Trarre un film da un picchiaduro lascia quindi totale carta bianca nella creazione di una trama decente, l’unico obbligo è infilarci dentro attori vestiti come i personaggi del gioco e farli menare tra di loro il più possibile. Totale libertà, troppa forse, dati i risultati: pastrocchi ben oltre il ridicolo involontario, dove c’è tutto e il contrario di tutto, e che portano solo al rimpianto per non aver giocato un’ora e mezza col videogioco, piuttosto che guardare il film.
Tekken è uno dei più celebri picchiaduro, ed era solo questione di tempo prima che qualcuno ne facesse un film. I risultati non sono dissimili dalle altre produzioni del genere. Qui si frulla la fantascienza degli ultimi quindici anni e se ne fa la struttura portante di una serie (breve, in realtà) di scazzottate relativamente divertenti. Gli Stati sono crollati dopo le guerre di religione, le multinazionali ora controllano il mondo. La più potente di queste, la Tekken, domina la gente col pugno di ferro e ogni anno indice l’”Iron Fist”, torneo dove i migliori combattenti delle multinazionali si tolgono vicendevolmente il muco dal naso a cazzotti. Il ladruncolo Jin Kazama se ne frega del torneo, finché la Tekken non gli ammazza la madre: decide così di iscriversi per vendetta. Riuscirà nel suo intento, e si farà anche la ragazza. Esplosioni, sparatorie, pestaggi, montaggio ipercinetico, musica metallara, costumini attillati e moralina finale sul non uccidere la gente. Nella poltrona accanto alla mia, in sala, un ragazzino di nove-dieci anni si diverte un mondo a ripetere i nomi dei personaggi del videogioco ogni qual volta questi compaiono sullo schermo.
Almeno lui si è divertito.

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