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In questo numero

Shame

venerdì 9 Settembre, 2011 | di Nicole Braida
Shame
Festival
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68a Mostra del Cinema di Venezia, 31 agosto-10 settembre 2011

Storia di un uomo schifoso
A Venezia in concorso c’è anche Shame, del regista Steve McQueen, un film acclamato ma anche fischiato al buio delle sale.

Per la seconda volta troviamo Micheal Fassbender protagonista di un opera di McQueen, in Shame interpreta Brandon, un uomo di successo, incarnazione della perfezione estetica, ma afflitto da una seria dipendenza, quella del sesso.
La profonda vergogna per le sue perversioni è l’unico sentimento che Brandon riesce a provare. Non è capace infatti di legarsi a nessuno, nemmeno alla fragile sorella Sissy (interpretata da Carey Mulligan) che continua a chiedergli aiuto. Egli è un uomo profondamente solo. Incastonato perfettamente nella sua routine quotidiana lavorativa e in quella nascosta delle proprie maniacalità. La sua città, New York, potrebbe essere una qualunque metropoli. E lui in fondo è soltanto uno di noi, un individuo legato ad una qualche dipendenza. Le sue abitudini sono i suoi appigli, Brandon è consapevole di essere autosufficiente al contrario della giovane e sprovveduta Sissy, che sembra essergli però quasi complementare. È una donna fragile, che si lega facilmente e che veste vintage, quasi fosse davvero una persona d’altri tempi.
Brandon invece è il presente, uno spazio tempo che però non gli appartiene. Egli infatti è un alienato, che continua ad isolarsi da qualsiasi rapporto umano autentico. La società che lo attornia è schiava degli stessi schemi; come in Shortbus il sesso in ogni forma è la fuga dalla realtà, dall’incapacità di soffrire, di rischiare un legame, di scegliere la libertà. Il dolore fa paura forse più della stessa morte e Sissy ne è la prova: tenta spesso il suicidio. “Perché?”, le chiede il capo di Brandon, “ perché da piccola mi annoiavo molto” risponde.
Steve McQueen ci svela, come aveva fatto in Hunger, un altro scavo dell’animo umano, con la macchina da presa che segue da vicino il corpo scultoreo di Fassbender, avvolgendolo spesso nei controluce, nel buio da film noir di una New York asettica. Gli spazi da vuoti si colorano solo nelle lunghe scene di nudo, dove lo sguardo indugia sulla carne nuda e fremente. E ciò che vediamo è un uomo, un individuo, un essere umano, che non è capace di vivere nella realtà, ma la rifugge circondandosi da vergognose dipendenze.

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