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La foresta sepolta

giovedì 13 Ottobre, 2011 | di Daniel Paone
La foresta sepolta
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Fuori Orario, Rai Tre, sabato 8 ottobre 2011, ore 5.30

Dal lontano Giappone

Un piccolo villaggio di montagna, nel sud-est del Giappone. Il tempo scorre lento. Gli anziani vivono la quotidianità rurale, i bambini sono in strada a festeggiare gli antichi Dei del Cammino.

Machi e due amiche giocano inventando storie da raccontare a turno; le loro fantasie si confondono con la realtà. Quando una frana fa riemergere un albero fossilizzato da un’esplosione vulcanica, viene scoperta una misteriosa foresta secolare. Tutti gli abitanti polarizzano l’attenzione intorno ad essa.
La foresta sepolta è l’ultimo film di Kohei Oguri che ne ha diretti in tutto cinque in venticinque anni di carriera. Un regista quasi sconosciuto in Italia, che passa solo “fuori orario”, alle 05.30 di un sabato mattina su Rai Tre. Eppure il suo L’aculeo della morte, del 1990, aveva vinto il Grand Prix Speciale della giuria al Festival di Cannes, suscitando clamore e grande interesse. Precedentemente Il fiume di fango, del 1981, era stato nominato all’Oscar come miglior film straniero.
Anche questo è un film interessante, forse troppo lontano dalla nostra cultura (cinematografica e non) per trovare spazio al cinema o nelle logiche dei palinsesti televisivi, dove il cinema americano e la commedia all’italiana (quel che resta), padroni indiscussi della prima serata, ne sono in qualche modo l’antitesi. Oguri, infatti, intende il cinema – e il ruolo dello spettatore di fronte ad esso – in modo diametralmente opposto all’approccio che, per semplicità, potremmo definire hollywoodiano. Senza una trama lineare, le sue storie sono miraggi, immagini che cambiando illuminazione diventano reali o puramente fittizie, mettendo alla prova la nostra percezione. Gli elementi fantastici, che dovrebbero essere il preludio alla fiaba, non servono a spettacolarizzare l’azione ne a sviluppare il vero tema narrativo. Al contrario Oguri si ferma a contemplare la vita di ogni giorno ruotando lentamente attorno a coloro che appartengono alla comunità (Machi, il pescivendolo, il falegname che ha perso la figlia, l’anziana signora che la famiglia vorrebbe lasciare in una casa di riposo) e le loro storie ci parlano di cammelli e balene volanti, dell’uovo gigante di un uccello-elefante brasiliano, di una foresta misteriosa che riaccende l’interesse di tutti gli abitanti. Lenti e rispettosi del linguaggio naturale sono anche i dialoghi, a volte incompiuti ma di raffinata sensibilità.
Difficile confinare questo film ad un genere preciso, tanto più collocarlo nel fantasy. E’ un racconto poetico in cui la “magia” sta proprio nella semplicità di una vita d’altri tempi legata inscindibilmente alla natura, che sembra osservare con solennità le vicissitudini umane. Una sensazione data dalla macchina da presa (una videocamera digitale HD) quasi sempre immobile ad immortalare uomini e al contempo paesaggi stupendi, fotografati spesso al buio o al tramonto in modo da accentuare la combinazione simbolica con gli elementi onirici introdotti dalle storie delle adolescenti, che a volte prendono vita in un sogno a occhi aperti a volte si rivelano un semplice riflesso di luce nell’acqua.
Un tuffo in cinema affascinante, non il migliore che si possa realizzare ma qualcosa di diverso nella ridondante routine delle nostre visioni. Come una passeggiata a piedi sulle colline toscane per chi è abituato a prendere il tram nel traffico di Roma o Milano.

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