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My Beautiful Laundrette

giovedì 17 Novembre, 2011 | di Eleonora Degrassi
My Beautiful Laundrette
Film History
0
Voto autore:

RaiMovie, sabato 19 novembre, ore 4.05

Io Omar, tu Johnny: una storia d’amore
Inghilterra. Retrobottega della lavanderia Laundrette. “Dio che fallimento. Che merda la vita”, dice Omar, un giovane ragazzo pakistano, mentre Johnny, un inglese sbandato e razzista, gli sbottona la camicia e lo bacia, sfiorandolo con tenera passione.

my_beautiful_laundretteOmar/Gordon Warneke e Johnny/Daniel Day-Lewis sono innamorati, l’uno figlio di una ricca famiglia, l’altro ragazzo di strada, incontratisi di nuovo per caso, dopo anni di lontananza; il pakistano offre all’altro un lavoro per toglierlo dalla strada. My Beautiful Laundrette – nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura –  è un lavoro di Stephen Frears, del 1985, la cui sceneggiatura è stata scritta da Hanif Kureishi. L’opera è figlia della British Renaissance, che si è sviluppata in Inghilterra tra la fine degli anni 70 e la fine degli anni 80, raccontando quella società reietta, ribelle contro il governo Thatcher e le sue imposizioni. Questo sentire comune di registi come Frears (aiuto-regista dei grandi nomi del Free Cinema) ha dato uno scossone d’ironia e violenza ad un cinema inglese, ma anche europeo, sonnolento e “antico” – come era avvenuto, con il Nuovo Cinema Tedesco, in Germania negli anni 70 – ; questi film sono un urlo fugace e vibrante “contro”. La pellicola rappresenta l’ultimo e felice esempio di questa temperie produttiva, culturale e creativa: produzione a basso costo per decisione di Channel 4, analisi attenta della società con tutte le sue ferite grazie ai dialoghi e alla “solida” sceneggiatura di Kureishi. Ciò che sconvolge dell’opera, rivista oggi, è la forza del racconto immediato e intenso, non si cerca l’“asciuttezza” della vicenda ma anzi vibra, sotto le parole, un surplus di storia; si chiede al pubblico di “sapere”, di “esserci”: non si parla di un qualunque amore, difficile e complicato, ma di uno tra due uomini, per di più, l’uno pakistano, l’altro inglese, non sganciandolo dalla situazione socio-politica dell’epoca ma immergendolo nella difficile era thatcheriana; il tutto è stretto con forti legacci alla vicenda della famiglia pakistana, tracciandola, insistendo sulle ferite più profonde, che non vengono lasciate cicatrizzare ma strofinate con il sale. Pestaggi, umiliazioni da parte della gang, di cui faceva parte Johnny, rivoli di sangue, partite di droga si uniscono ai baci che i due giovani si scambiano, le ombre del governo Thatcher si stagliano sui muri della lavanderia. I tre fili della storia – che potrebbero essere anche tre storie a sé – , come quelli della vita tenuti tra le mani dalle Parche, sono legati da un sottile filamento che, seppur sottile, è complicato da spezzare: la mancanza di Cultura. È questione di Cultura accettare l’altro, sapere che è diverso da te ma non per questo “sbagliato”; è questione di Cultura avere la forza di cambiare, prendendo la propria strada, sciogliendo qualsiasi legame con la famiglia, aver rispetto per se stessi, ma anche, sapersi mettere sulle barricate per vincere la guerra delle persone che ami, facendola diventare la tua guerra. È emblematico di questo desiderio di Cultura il dialogo tra il padre di Omar e Johnny: l’uomo chiede al giovane, provocandolo, “a cosa ti sono serviti i miei consigli?” e con “lucido disprezzo”, rispondendosi da solo, dice: “Tu oggi sei solo uno che lava mutande”, e poi decide di sferrare il colpo e affonda la lama, fino ad arrivare all’osso, “ma sei sempre in tempo per darti una mossa. Aiutami, non voglio che mio figlio passi la vita a pulire le mutande della gente, io desidero che lui frequenti l’Università, devi dirglielo (..). Devi andarci anche tu. Dovete avere una Cultura, dobbiamo averla tutti, se vogliamo riuscire a capire le cose che stanno accadendo in questo paese”. L’anziano si ritrova in una sorta di “trappola dialettica”, un gatto che si morde la coda: se da una parte chiede a gran voce Cultura, dall’altra parte non dà possibilità al figlio di scegliere, dimostrando di aver introiettato la conoscenza libresca e accademica, ma di aver perso di vista quella “umana”; paradossalmente il più culturalmente pronto a capire è Jhonny, che lapidario risponde: “dipende da ciò che vuole Omar”. Un film interessante dunque, sotto vari punti di vista, realizzato per la tv, ma fruibile anche su grande schermo, in cui Frears racconta, forse proprio grazie alla forza distruttiva e costruttiva di questa generazione di cineasti, andando in profondità, ogni tematica, dimostrando acume e sensibilità, non realizzando però un’opera patetica ma vibrante e violenta. Un progetto da cui si può solo imparare.

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