Case fatate, clown tristi, topi nazisti
“Le differenze nascono quando i punti di vista sono diversi” dice lo zio Albert (Einstein?) ai nipotini al termine della loro avventura, in una delle ultime scene di Lo Schiaccianoci.
Un’osservazione che potrebbe essere benissimo anche la chiosa del regista Andrei Konchalovsky di fronte alle critiche mosse dai puristi/nostalgici inorriditi da una trasposizione cinematografica spuria, personalizzata e imperfetta. In barba alla storia originale di Ernst Hoffmann (datata 1816) così come al balletto di Tchaikovsky, il cineasta russo resta essenzialmente fedele solo a se stesso, ai toni realistico-magici che l’hanno portato al successo in patria e alla passione per le riletture storiche visionarie ed estrose. In questa coproduzione anglo-ungherese ad altissimo budget – per un film europeo indipendente – l’unico appiglio ai modelli di cui sopra è la musica, per quanto spezzettata e riadattata da Eduard Artemiev. Ciononostante, tra stereoscopia ed effetti speciali (e spesso l’artigianalità del comparto tecnico è camuffata con furbizia ed encomiabile mestiere), a suo modo Lo Schiaccianoci è un’opera “classica”: ambientata in una Vienna confetto di inizio ‘900, immersa in una vigilia di Natale innevata e incentrata su due bambini aristocratici annoiati. L’immaginario fantastico cercato dall’autore passa attraverso una casa di bambola incantata e porta dritto ad una fiaba colorata ed esageratamente satura. Niente in questo Schiaccianoci serve davvero a niente, la vicenda è già scritta e non v’è traccia di un vero contrasto che faccia anche solo per un secondo dubitare lo spettatore (piccolo o grande, neofita o onnisciente). Oppure (eppure) tutto serve a tutto, perché sceneggiatura e messinscena disseminano continue metafore e rimandi ammucchiati freneticamente. Lungo il percorso filmico si intravedono Alice nel Paese delle Meraviglie e Il mago di Oz, ma più di ogni cosa è nell’eccentrico Re dei Topi (John Turturro, sempre più affascinato da ruoli weirdo) e nei suoi metodi coercitivi che si definisce una perfetta allegoria dell’Olocausto e dei totalitarismi. In conclusione si scorge l’ennesima vittoria degli emarginati (il fenomeno meriterebbe un’analisi a sé), con il principe Schiaccianoci reietto che insieme al grasso clown, alla scimmia e al suonatore di tamburo nero salva la Terra dalla rovina. E in filigrana si consuma dolente e inevitabile l’essenziale dilemma di questo “prezioso” Schiaccianoci, così fortemente voluto da Konchalovsky: troppo nero e brutale per essere compreso dai bambini; troppo superficiale e pleonastico per essere accettato da un pubblico adulto.
Lo Schiaccianoci [The Nutcracker, Gran Bretagna/Ungheria 2010] REGIA Andrei Konchalovsky.
CAST Elle Fanning, Charlie Rowe, John Turturro, Frances de la Tour.
SCENEGGIATURA Andrei Konchalovsky, Chris Solimine (tratto dal racconto Schiaccianoci e il re dei topi di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann). FOTOGRAFIA Mike Southon. MUSICHE Eduard Artemyev.
Fantastico/Musicale, durata 110 minuti.