Molto rumore, poche emozioni
New York, 26° piano del Roosevelt Hotel: un distinto signore, dopo aver ordinato e consumato una luculliana colazione, si appresta serafico alla finestra, la scavalca e si posiziona su un capiente cornicione aspettando di esser notato dai passanti.
Il che avviene immantinente, come se tutti con il naso all’aria, non aspettassero altro. Subito, con dovizia di particolari, si mette in moto la macchina dei soccorsi mentre si scatena la prevedibile tempesta mediatica. A questo punto, parte un poderoso flashback che illustra allo spettatore l’antefatto: l’uomo è un evaso, 
Nick Cassidy, ex poliziotto ingiustamente condannato due anni prima per rapina, deciso a riscattare il proprio onore, anche a costo della vita. Ben presto però si capisce che il suo è un escamotage, il vero obiettivo è un altro: organizzare, aiutato dal fratello con annessa procace fidanzatina, il furto di un gioiello causa dei suoi guai. Visto quindi che da quel cornicione non ha la minima intenzione di buttarsi, prima pretende la mediazione di una negoziatrice della polizia in crisi d’identità e poi cerca di mettere in pratica quanto ha minuziosamente studiato durante la prigionia.
Che dire del soggetto: poco! I poliziotti innocenti incastrati da colleghi corrotti, gli squali della finanza disposti a tutto per i loro sporchi interessi, i media scatenati alla ricerca del sensazionale, i pur significativi momenti di tensione costruiti con abusati meccanismi fanno parte ormai dei soliti cliché a cui è assuefatto anche un pubblico poco attento. Il regista è un esordiente, e si nota, specialmente nel costrutto dei dialoghi spesso banali. Di sicuro Sam Worthington, uso a ben altri ruoli di action movie, esprime il meglio di sé nelle poche scene movimentate che lo vedono protagonista; alle prese con la recitazione, sul cornicione, suona falso come in definitiva appare falso tutto il film in cui si ha costantemente la sensazione di vivere un déjà vu. Anche il pluripremiato Ed Harris, chiamato a svolgere il ruolo cammeo del cattivo di turno si perde, purtroppo, nella mediocrità generale.
Nel gergo del NYPD “men on a ledge” dovrebbe avere un preciso significato: aspirante suicida in azione. Negli States la gente sarà andata a vedere il film almeno desiderosa di conoscere le motivazioni che possano portare un essere umano all’insano gesto. In Italia tutto ciò non è avvenuto perché il titolo 40 carati, facendo già esplicito riferimento alle predette motivazioni, lascia ben pochi margini di suspense.