Senza tempo
Dopo un anno di pausa forzata per dissidi tra il creatore Matthew Weiner e la produzione, Mad Men è tornato con la sua stagione più cupa: entrati nel vivo degli anni Sessanta, i terremoti sociali e culturali risalgono fino ai grattacieli di Madison Avenue, e Mad Men si riempie di presagi oscuri, senso di morte e viaggi allucinatori (incubi in 5×03, “Tea Leaves” e 5×04, “Mystery Date”, trip lisergici in 5×06, “Far Away Places”), a comunicare un senso crescente di scollamento tra generazioni e tra logiche di esistenza.
Incombono il nuovo e una diffusa insicurezza, e i più lungimiranti, come Don Draper, prendono coscienza impotenti dell’inadeguatezza dei propri strumenti interpretativi per la realtà in trasformazione. Don rimane il fulcro della narrazione, ma se la quarta stagione si è interessata principalmente del suo sprofondare, ad inabissarsi qui sono gli altri personaggi: Pete Campbell, soffocato dal proprio bisogno di approvazione e bloccato in un quadretto familiare messo su troppo presto, Roger Sterling e la sua depressione, Betty e il suo tracollo fisico; e poi Lane Pryce, l’Englishman costantemente fuori posto, protagonista dell’arco narrativo più tragico.
E’ il 1966, e tutto si gioca sulla distanza e l’avvicinamento dei personaggi al proprio tempo, mentre Don appare sempre distaccato da qualsiasi temporalità: da un lato osserva, studia e talvolta fraintende il mondo in mutazione (l’onnipresenza di quella strana, nuova musica), dall’altro lotta ancora con se stesso e la propria indole all’errore autodistruttivo, nonostante il suo nuovo stato di innamoramento.
Se gli uomini sono bloccati nella propria autocommiserazione, o nell’incapacità di adeguarsi al nuovo, le donne si muovono versatili e molto più a loro agio con il presente, rinegoziando la loro posizione in relazione allo sguardo maschile, che non sa fare altro che rimirarle come oggetto lussuoso da possedere. Megan (gli autori sono riusciti nel difficile compito di rendere la nuova signora Draper un personaggio credibile e complesso) è colta, con gusti all’avanguardia, in equilibrio precario tra sicurezza di sé e una profonda emotività, ma anche privilegiata e con lo status rétro di moglie di un uomo ricco; la sorprendente Joan scende a compromessi discutibili in nome del suo futuro e si dimostra lo specchio di Don, con lo svantaggio di essere donna “che desta ammirazione” in un mondo di uomini (illuminante la lunga sequenza tra lei e Don in 5×10, “Christmas Waltz”, in cui entrambi leggono se stessi riflessi negli altri e l’un l’altra); c’è Peggy, il cui percorso di emancipazione arriva alla svolta inevitabile dell’allontanamento da Don; e guadagna ampio spazio anche la piccola Sally, dal potenziale immenso, che già ha visto troppo oltre (“How is the city?” – “Dirty”, sentenzia a conclusione di 5×07, “At The Codfish Ball”).
Nei momenti più riusciti, la Storia funge da grimaldello che smaschera le ipocrisie e le meschinità di questi uomini che hanno troppo e vogliono tutto, anche mentre il terreno crolla sotto i loro piedi. La stagione è punteggiata di cronaca nera (il massacro di otto infermiere da parte di Richard Speck nel luglio di quell’anno; il cecchino Charles Whitman che sparò su degli innocenti dal campanile di un campus), delitti assimilati dai personaggi con un misto di orrore e morbosità, utilizzati come diversivo per disinteressarsi dei reali problemi del presente. E sempre riaffiora il contrasto tra pulsioni più o meno segrete e il loro corrispettivo socialmente accettabile. Le misteriose declinazioni del desiderio sono tema ricorrente della stagione, e di tutta la serie: d’altra parte siamo in ambiente pubblicitario, e la soddisfazione del cliente dipende dall’interpretazione delle fantasie più inconsce, spesso indicibili.
Mad Men continua a nutrirsi di un’epoca contraddittoria per parlare della condizione umana moderna tutta e delle sue crisi ricorrenti, usando l’universo pubblicitario come filtro, bilancia di sogni e impulsi: da lì emerge di volta in volta un’atmosfera, un colore, un’immagine, che stavolta è un buco nero pece, una tromba dell’ascensore che somiglia ad un baratro su cui si resta sospesi, in pericolo.
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