Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
Terre di confine
Una delle ricorrenze tematiche più adoperate nel corso della storia del pensiero cinematografico è sicuramente quella relativa alla caducità del confine tra realtà e finzione. In che misura, ci si chiede, è possibile considerare la veridicità dell’immagine audiovisiva all’interno del genere documentario?
Pare proprio sia questa la problematica che decide di affrontare, quest’anno, la sezione “Spazio Off” del Premio Sergio Amidei, lavorando su un filo conduttore che vede protagonisti alcuni dei più interessanti film italiani indipendenti. Dalla tavola rotonda che segue la visione di tre dei lavori proposti quest’anno (Cielo senza terra, Freakbeat e Formato ridotto) emerge, provocatoriamente, l’auspicio di una definitiva rottura del muro che separa fiction e documentario. La ragione è semplice: un documentarista non può prescindere dal rielaborare il materiale girato, presentando un propria visione della realtà, la quale si ritrova, inevitabilmente, parziale. Ma c’è di più. Il fattore che suscita maggior interesse in un film come Cielo senza terra (Giovanni Davide Maderna, 2011) è proprio l’ambiguità dell’improvvisazione di fronte alla macchina da presa. Se il regista decide di filmare senza alcun filtro il proprio figlio di otto anni in una sorta di cronaca di un’escursione montana, è pur vero che la presenza della videocamera non può non interferire con la naturalezza di chi vi si trova dinanzi, ancor più se quest’ultimo viene guidato – come in una sorta di canovaccio di base – dalle fitte domande dell’interlocutore. Per tacere, poi, di Freakbeat (Luca Pastore, 2011), una sorta di docu-fiction dedicata al Beat italiano, in cui l’outsider “Freak” Antoni, quasi fosse un Borat nazionalpopolare, si misura con l’effetto “Candid Camera” di una cornice prettamente fiction inserita brutalmente in un ambiente reale. In ultimo, la vocazione alla rielaborazione delle immagini degli archivi Home Movies pare l’obiettivo primario di un film come Formato ridotto (A. Bigini, C. Giapponesi, P. Simoni, 2012), che si avvale del contributo di scrittori come Enrico Brizzi, Ermanno Cavazzoni, Emidio Clementi, Ugo Cornia e Wu Ming 2 per ragionare sul rapporto immagine-parola e ricreando, nelle sequenze più interessanti, vere proprie occasioni di fiction in contesti di found footage. La capacità di ragionare intelligentemente su uno dei topoi più inflazionati del pensiero teorico sulla Settima Arte, ci lascia ben sperare sul futuro del cinema indipendente italiano, il quale sembra avere ancora molto da dire.