Speciale 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
SETTIMANA DELLA CRITICA – EVENTO SPECIALE
Buon sangue non mente?
Due affascinanti sorelle vampiro, Djuna e Mimi – costrette a convivere per pochi giorni in un’enorme dimora, accompagnate da un neofita della cerchia dei succhiasangue, Paolo, e da una governante umana non meno inquietante – sembrano adottare due stili diversi di non-vita.
Si rivelano, in realtà, più simili del previsto, entrambe succubi, inevitabilmente, dei propri istinti bestiali e della sete di sangue. Si può riassumere così la trama di Kiss of the Damned, opera prima di Xan Cassavetes dal fascino imperfetto e un po’ retrò, proprio come quello della coppia di protagoniste. Se il film non evita del tutto il rischio di sembrare unicamente un bell’esercizio di stile, con tanto di musiche in stile morriconiano, orecchiabilissime ma ruffiane, la sua apprezzabile cinefilia non ne fa una copia esangue di qualche film del passato. Concretizzandosi anche nel racconto, sottoforma dei film in bianco e nero noleggiati e guardati sul piccolo schermo in due diverse sequenze, la cinefilia di Kiss of the Damned non pare affatto mortuaria ed esangue, bensì viva, sincera e pulsante, a differenza del cuore delle protagoniste. Una cinefilia, che, secondo l’estetica postmoderna del pastiche, va a resuscitare figure, filoni e sottogeneri ormai scomparsi, per riportarli in vita, con le adeguate trasfusioni di attualità – un procedimento analogo a quello del Burton di Mars Attacks! e Dark Shadows.
Kiss of the Damned, infatti, rifiuta coraggiosamente molte delle convenzioni caratterizzanti il cinema orrifico mainstream statunitense degli ultimi decenni: l’estetica splatter, la struttura da action movie, lo spreco di effetti speciali e di spaventi a buon mercato, l’ossessione per le soggettive e per le varie forme di focalizzazione dello sguardo. Il film di Xan Cassavetes pare, invece, recuperare l’immediatezza dei b-movie del periodo precedente il new horror – senza però dare una sensazione di povertà ed economia di mezzi – e perseguire una libertà stilistica cormaniana. Si prende poco sul serio, Kiss of the Damned, e infarcisce i dialoghi di umorismo non sguaiato, giocando ironicamente con gli stereotipi vampireschi, e la battuta sul caviale kosher ne è un perfetto esempio.
Senza dubbio è presto per stabilire se un po’ del talento di John Cassavetes sia stato ereditato dalla figlia, ma a giudicare da questo horror sui generis, perlomeno la regista non sembra interessata a una banale carriera da shooter senza personalità.