Eredità a rischio
Ci hanno fatto credere che lui fosse l’unico del suo genere. Ci hanno portato a pensare che il suo disumano addestramento fosse un esperimento isolato, perpetrato in nome di un fumoso patriottismo impreziosito dall’etichetta di “sicurezza nazionale”. Ci hanno mentito.
Jason Bourne, l’agente segreto alla divorante ricerca di memoria e identità, in fuga perenne da mentori e istruttori votati all’eliminazione delle loro stesse creature, è sempre stato solo la punta dell’iceberg: una spia potenziata e speciale tra tante altre “specialità”, menù umani dai quali poter scegliere in base ai programmi di appartenenza. The Bourne Legacy, quarto capitolo di una storia solo nominalmente legata al personaggio interpretato da Matt Damon, ci porta dietro quinte inaccessibili e letali, in contesti di alterazione genetica e comportamentale il cui fine ultimo sfugge agli stessi ricercatori coinvolti. Ci porta, in definitiva, fino ad Aaron Cross (Jeremy Renner) e al programma Outcome. Versioni “migliorate” e di efficienza superiore di Bourne e Treadstone, Cross e il suo nido di formazione costituiscono il sommerso che Dipartimento della Difesa e Servizi Segreti vogliono mantenere tale a qualsiasi costo. Se non fosse che l’inquieto Jason ci mette lo zampino e l’incubo diventa realtà, assumendo le forme travolgenti dell’effetto domino: con Treadstone irrimediabilmente compromesso, cominciano i guai anche per Outcome. L’alternativa è, come sempre, solo una: terminare il programma. Prende il via da questa strategia risolutiva la storia diretta da Tony Gilroy, qui in cabina di regia oltre che autore della sceneggiatura, e punta in alto. Sceglie la partenza giusta, dimostrando di aver appreso con perizia la lezione dell’amico Paul Greengrass: l’azione si innesta magnificamente su un’atmosfera che si nutre di suspense in modalità crescente. Peccato che, oltrepassato il punto di non ritorno, alla tensione si sostituisca l’intrattenimento soporifero del “già visto”. Ogni personaggio inizia ad agire, è proprio il caso di dirlo, secondo copione; fughe e combattimenti relegano sullo sfondo di un breve dialogo i conflitti etici derivanti dall’impiego manipolatorio della scienza; l’equilibrio tra scene d’azione e momenti rielaborativi si sbilancia a completo beneficio delle prime. Risultato: il danno è per il film che, presa in mano una promettente eredità ne depaupera in scelte sbagliate e frettolose il potenziale valore intrinseco. Neanche un villain degno di nota a rincorrere l’eroe in moto nella sequenza finale (chi non ricorda Keith Urban?); e poco, pochissimo, di quel dramma intimo eppur visibile nello sguardo di Bourne che tanto umano riusciva a rendere il suo “imbattibile” soldato. Non che Jeremy Renner non ci provi, ma quando il volto gelido e statico del deus ex machina dei programmi a incastro Eric Byer (Edward Norton, bravissimo) risulta – al netto dei virtuosismi di montaggio e della spettacolarità della messa in scena – l’immagine a più alto impatto visivo, significa che qualcosa si è perso nella (ri)costruzione dell’eroe. All’immancabile sequel l’ardua sentenza: lì scopriremo se la nuova generazione Cross avrà davvero diritto di cittadinanza filmica.
The Bourne Legacy [Id., USA 2012] REGIA Tony Gilroy.
CAST Jeremy Renner, Rachel Weisz, Edward Norton, David Strathairn, Stacy Keach.
SCENEGGIATURA Tony Gilroy, Dan Gilroy. FOTOGRAFIA Robert Elswit. MUSICHE James Newton Howard.
Azione/Avventura/Thriller, durata 135 minuti.