Noi
Se non fossero due film così profondamente diversi, figli di autorialità tanto lontane, Io e te di Bernardo Bertolucci potrebbe essere uno spinoff di The We and the I di Michel Gondry. Lorenzo è il ragazzino che non sale sul pullman, quel pullman che porta in gita i suoi compagni di classe.
Un ragazzino (in)sofferente, vagabondo in quel passaggio che porta dall’io al noi, perché per lui il noi non esiste, ma esistono solo gli altri. L’intuizione felice che sta alla base del romanzo di Ammaniti adattato da Bertolucci è una cosa semplice e banale, ma carica di verità: il desiderio tutto adolescente di una cantina vuota da abitare in solitudine per una settimana. Un intervallo (vedere anche l’esordio fiction di Di Costanzo), una pausa dal mondo protetta da un ordine tutto personale (7 coca cole, 7 merendine, 7 di tutto), popolata da passioni più (musica, Tex, Anne Rice) o meno (il formicaio) comuni. Bertolucci si rifugia, insieme a Lorenzo, in quest’unità di luogo, anfratto buio dove gli adulti impilano gli scatoloni di quel che non serve più ma ancora non si può (non si vuole) buttare (la persistenza della memoria); un palcoscenico spoglio, una tela bianca di promesse da trasformare in un teatro di possibilità. Perfetta metafora dell’adolescenza, linea d’ombra conradiana dove l’attesa è in realtà un crocevia fervente di alternative, frangia delicata e precaria di costruzione d’identità. Olivia è lo squarcio nella finestra del sognatore Lorenzo, l’irruzione dell’esterno nel suo interno autarchico. Irrompe nella cantina con la leggerezza di un gorilla, riversa su Lorenzo una cascata di capelli biondi, il suo vomito di tossica, i tremiti della rota e la dolente versione italiana di Space Oddity di Bowie. Forzandolo a uscire da sé («l’indifferenza fa schifo»), senza rinunciare (del tutto) alle regole del suo autosufficiente universo. Bertolucci rinchiude tutto il suo cinema in una cantina/teatro, dove i vecchi abiti polverosi di una contessa morta sono i costumi di scena di un’ipotesi futura, dove c’è spazio (tra corridoi al neon e tubi cigolanti) per rimandi cinematografici (Truffaut è presenza costante, ma non unica) e un grande affastellarsi di spunti (ombre incestuose comprese). Il senso della pellicola si raggruma tutto in quell’”e”, che ha la forma di un abbraccio disperato e commovente, insieme liberatorio e straziante, climax di un film fatto di corpi che non si toccano mai, se non per farsi male. Oltre alla splendida regia, Bertolucci aggiunge la lancinante scintilla della speranza: respira a pieni polmoni nel dolly finale all’alba, si immobilizza in un sorriso/fermo immagine mosso. Il futuro non lo scrive, perché il suo cinema è giovane, ancora una volta, e gravido di un’infinità di domani.
Io e te [id., Italia 2012] REGIA Bernardo Bertolucci.
CAST Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco, Pippo Delbono.
SCENEGGIATURA B. Bertolucci, Niccolò Ammaniti, Umberto Contarello, Francesca Marciano. FOTOGRAFIA Fabio Cianchetti. MUSICHE Franco Piersanti.
Drammatico, durata 103 minuti.