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In questo numero

La Top Ten Mediacritica 2012

venerdì 28 Dicembre, 2012 | di Redazione Mediacritica
La Top Ten Mediacritica 2012
Classifiche
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Leggi le top ten di Sara Martin, Alice Cucchetti, Filippo Zoratti, Chiara Checcaglini, Mattia Filigoi, Margherita Merlo, Leonardo Cabrini, Francesco Grieco, Andrea Moschioni Fioretti, Lapo Gresleri, Daniel Paone, Lisa Cecconi, Edoardo Peretti, Michele Galardini, Maria Cristina, Martina Bigotto, Daniela Bressanutti, Barbara Busato, Valentina Cauteruccio, Eleonora Degrassi, Martina Farci, Luca Giagnorio, Paola Gianderico, Teresa Nannucci, Lucia Occhipinti, Massimo Padoin, Nicola Peirano, Matteo Quadrini, Carmen Spanò, Alex Tribelli, Giulia Zen. Qui Roy Menarini dal suo blog.

La top ten 2012 di Maria Cristina Andrian

Le cinque leggende

1. Le 5 Leggende. Jack Frost, la Fata dei denti, il Coniglio Pasquale, l’Omino dei Sogni e Babbo Natale che ci difendono dall’Uomo Nero valgon bene un primo posto.
2. Ribelle. The Brave. Riccissima e con un carattere degno dei suoi capelli leonini, Merida dovrà scoprire se due punti di vista contrapposti possano incontrarsi a metà strada. Ah, il tutto mentre viene inseguita da un orso!
3. Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato. O un bellissimo ritorno, grazie all’inalterata magia di casa Jackson ed al talento di Martin Freeman nei panni dello sperduto e casalingo Bilbo Baggins. Un film che insegna quanto sia difficile ignorare l’avventura quando ti piomba in casa all’ora di cena.
4. The Twilight Saga: Breaking Dawn parte 2. Salutiamo Bella ed Edward con un finale degno di questo nome che ci regala qualche soprassalto adrenalinico.
5. Quasi amici. Una storia vera e senza scene zuccherine, che strappa insieme risate e lacrime.
6. La leggenda del cacciatore di vampiri. Lincoln armato fino ai denti per far fuori i non morti zannuti sarebbe valso la visione anche senza un cast di tutto rispetto ed una trama solida come il monte Rushmoore a sostenerlo.
7. La collina dei papaveri. Il figlio di Miyazaki lascia il fiabesco per una storia d’amore sussurrata dal vento e che si tuffa in un mare di colori. Bello e poetico.
8. Marilyn. Tutta la fragilità di una diva che si scontra con i suoi limiti, sotto lo sguardo tenero, ma impotente, di un giovanotto inglese di buona famiglia.
9. Paranorman. Quando la paura degli altri si scontra con la paura del diverso tocca ad un bambino cercare di guardare oltre… fino all’Aldilà.
10. Biancaneve e il Cacciatore. La regina sembra imbattibile ed il suo alleato è un cacciatore in crisi con tutto tranne che con la bottiglia. Poco incoraggiante, ma Biancaneve è dura a morire.

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La top ten 2012 di Martina Bigotto

Martina Bigotto Eva

1. John Carter e Eva ( a pari merito ). Nonostante il film di Stanton risenta un po’ della concorrenza indiretta di kolossal usciti anni o decenni prima ( vedi Avatar o la saga di Star Wars) riesce comunque ad ammaliare e a tenerci col fiato sospeso fino al gran finale. Così come fa l’opera dello spagnolo Mailló, estremamente coinvolgente. Due ottimi esempi che riportano in auge la fantascienza di qualità al cinema e che indicano delle possibili riflessioni sul mondo e l’umanità intera.
2. Hugo Cabret. Dopo il trend degli occhialini 3D che aveva inizialmente spopolato ma che ora sembra essersi quasi dissolto, il cinema ripensa a se stesso, guarda alle proprie origini e ci propone capolavori come quest’opera di Scorsese che ci riporta alla magia e alla genialità creativa dei tempi di Méliès e dei film muti. E il pubblico lo osanna.
3. Ribelle, The Brave. Una storia presentata in veste animata ma che in realtà si rivela tutt’altro che che un semplice cartone e che si rivolge forse più ai grandi che ai piccini rammentando loro l’importanza di tematiche quali le pari opportunità, lo scegliere la propria strada e la complicità famigliare.
4. War Horse. Un grande film d’avventura che ci fa sognare all’insegna dei buoni sentimenti e scenari mozzafiato firmato da un grande nome sinonimo di alta qualità garantita come Spielberg.
5. Hungarian Rhapsody – Qeen Live in Budapest. Un’occasione unica per vedere in formato maxi il grande talento del carismatico e insuperato Freddie Mercury nella tappa ungherese del mitico Magic Tour: un esempio di come la musica riesca a superare tutte le barriere fisiche e non e approdare nell’est Europa anni prima della caduta del Muro di Berlino.
6. Una spia non basta e The  Double (a pari merito). Anche se in chiave diversa, McG e Brandt dimostrano efficacemente che oltre a James Bond negli spymovies c’é tanto altro da raccontare e vedere. E la presenza della Whiterspoon da una parte e Topher Grace dell’altra non guastano certamente.
7. Biancaneve e Biancaneve e il cacciatore ( a pari merito ). Singh e Sanders ingaggiano dei cast di lusso e ci fanno riscoprire il sapore e la magia delle fiabe contestualizzandole nella modernità globalizzata in cui viviamo.
8. Ruby Sparks. Un film che celebra la magia dei sogni e della creatività umana mostrando come queste possano cambiare radicalmente la quotidianità.
9. The Wedding Party. La simpatia delle algide ma infelici damigelle d’onore più scorrette dell’universo che però riescono a ravvedersi giusto in tempo per il matrimonio della loro amica oversize.
10. Ciliegine. Il debutto brillante della Morante che scrive, dirige e interpreta un proprio film: un caso artistico più unico che raro in Italia e che speriamo possa vantare presto numerose imitatrici.

Esempi lodevoli per la tv e dintorni:
– miglior canale tv per varietà e qualità di programmi: RAI5 perché ha saputo offrire un intrattenimento culturale ma allo stesso tempo molto divertente grazie a programmi come Dreams Road, Lonely Planet – Le vie dell’avventura, La terra vista dal cielo, James May, invenzioni del XX° secolo e nomi prestigiosi del calibro di Philippe Daverio e David Letterman

– migliori telefilm: Being Erica ossia la divertente vita sentimentale e professionale di una giovane canadese che ricorda da vicino Bridget Jones e la sua tenacità nel conquistare un contratto di lavoro e una relazione d’amore a tempo indeterminato, Entourage pregi e difetti dell’universo scintillante e a volte assurdo di Hollywood vista attraverso gli occhi del neo divo Vince e dei suoi scatenati amici,Watch over me un telefilm statunitense di cui si segnala la complicità della coppia Jack e Julia, il cui fascino e magnetismo bucano letteralmente lo schermo, e American Dreams che racconta la storia di una famiglia attraverso una carrellata dei più grandi successi musicali degli anni Sessanta. miglior programma fai da te: Silvia dei Fiori su Wedding Tv che accompagna quotidianamente i telespettatori con competenza e simpatia nella creazione di piccoli capolavori floreali; miglior proposta d’intrattenimento: il primo premio va alla fascia mattutina di Rai2 che ha deciso di riproporre dei grandi telefilm degli anni Novanta offrendo un palinsesto gradevole, intelligente e formativo per tutta la famiglia grazie a Il nostro amico Charly, La signora del West e Sabrina vita da strega

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La Top Ten di Daniela Bressanutti

Lo Hobbit
1. Lo Hobbit
2. 007 Skyfall
3. Millennium. Uomini che odiano le donne
4. Quasi Amici
5. To Rome With Loe
6. Biancaneve e il cacciatore
7. Il cavaliere oscuro. Il ritorno
8. Battleship
9. Madagascar 3. Ricercati in Europa
10. Dark Shadows

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La top ten 2012 di Barbara Busato

Hugo Cabret
1. Hugo Cabret
2. Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato
3. Ribelle – The Brave
4. Quasi amici
5. Millennium – Uomini che odiano le donne
6. Dark Shadows
7. Another Earth
8. The Avengers
9. Paranorman
10. Pollo alle Prugne

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La top ten 2012 di Leonardo Cabrini

Young Adult
1. Young Adult (Jason Reitman). Stronza sei e stronza rimani. E la commedia cambia. Commedia?
2. Magic Mike (Steven Soderbergh). C’è la crisi. E siamo sempre lì…
3. Tutti i nostri desideri (Philippe Lioret). Non ci resta che amare.
4. La guerra è dichiarata (Valérie Donzelli). Un pout-pourri stilistico… e manco te ne accorgi.
5. The Five-Year Engagement (Nicholas Stoller). Jason Segel disadattato come solo Daffy Duck.
6. Millenium. Uomini che odiano le donne (David Fincher). C’è chi si domanda il perché. E qui viene il bello!
7. Cosmopolis (David Cronemberg). Il libro come object-trouvé per tracciare un percorso autoriale. Sempre di corpi si tratta. E’ Cronemberg, piaccia o meno.
8. Io e te (Bernardo Bertolucci). Ultimo Tango in cantina. E’ Bertolucci, piaccia o meno.
9. Oltre le colline (Cristian Mungiu). Ateo come solo Bunuel.
10. L’intervallo (Leonardo Di Costanzo). Attori veri…mica fiction!

In calce:
Bruce LaBruce al FilmForum di Udine/Gorizia. (Porno?).
Bakroman (Gianluca e Massimiliano De Serio) visto al FilmForum di Udine/Gorizia.
Mare chiuso (Daniele Segre) visto all’Amidei di Gorizia.
L’uomo doppio (Cosimo Terlizzi), Smashed(James Ponsoldt), Thanks for Sharing (Stuart Blumberg) visti al Torino Film Festival.

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I 5 peggiori horror del 2012 secondo Valentina Cauteruccio

Non aver paura del buio

Negli ultimi anni i trailer si sono specializzati nel rendere i film ciò che non sono. Questo accade soprattutto per gli horror, al punto che si pensa di andare a vedere qualcosa e ci si trova a vedere un thriller o un terribile film che di orrore ha solo il costo del biglietto. In questo 2012 poi la ricerca di un film che mettesse un po’ di stizza è stata lunga e spesso infruttuosa.

Il 5° posto se lo aggiudica Chernobyl diaries. La mutazione, che per quanto poco innovativo, molto americanizzato e senza grandi sperimentazioni cerca perlomeno di trovare qualcosa di diverso, come rievocare una parte della storia europea che ancora miete vittime e che si addice bene per una storia di mostri e reietti. Una città abbandonata in fretta che conserva dopo ventisei anni tutto intatto come allora inquieta, preoccupa e rievoca lo spauracchio del nucleare.

Al 4° posto invece un quarto capitolo, quello di Paranormal Activity 4 che abbandona ogni ricordo di paura e crea ad hoc un film con l’unico intento di ripetere gli incassi del passato utilizzando scene trite e ritrite senza aggiungere nulla. Alla fine se è andata bene fino adesso perché cambiare?

Nel primo scalino del podio, 3° classificato troviamo The possession. In un misto di scene viste molteplici volte, rievoca il concetto della possessione demoniaca, questa volta sostituendo la religione cattolica con quella ebraica, ma senza allontanarsi di un centimetro dai soliti cliché; famiglia divorziata, casa nuova e immersa nei boschi, una piccola e strana scatola comprata in un mercatino dell’usato… il resto è storia scontata.

Vicino alla vetta si posiziona Dream house. 2° posto meritatissimo, visto anche il rinnegamento degli attori protagonisti e del regista che ha chiesto di rimuovere il suo nome dai credits. In effetti visionando la pellicola si può solo concordare. Nulla di orrorifico si trova in questa casa, neanche la strizzata d’occhio al genere thriller psicologico riesce a un minuto di pellicola.

Al 1° posto indiscussa vittoria per Non avere paura del buio. In questo film i cattivoni sono dei piccoli animaletti che tornano da uno scantinato, murato anni prima, riaperto a causa di una ristrutturazione. Anche qui genitori separati e nuova vita per una bambina un po’ troppo curiosa. Sembra quasi che le catastrofi dell’horror ora trovino come protagoniste non più giovani adolescenti bionde, ma ragazzine/bambine già provate da una situazione familiare difficile che hanno come punto in comune la separazione dei genitori; spesso l’unica cosa che fa paura in questi fantomatici film dell’orrore….

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La top ten 2012 di Chiara Checcaglini

Chiara Checcaglini Killer Joe

1. Killer Joe. Un cielo nero con lampi da fumetto scandisce di tanto in tanto il passaggio delle sequenze, e dà la cifra di Killer Joe: grottesco, eccessivo, grafico come conviene ad un film che mescola l’abilità noir di Friedkin con il white trash più spinto. Tra questa umana spazzatura che si autoalimenta nell’ignoranza e nell’aberrazione, Joe si staglia come un dio o un demone, o entrambi, incarnazione brutale di un’America bianca in cui Friedkin non ripone nessunissima speranza.
2. Amour. Un uomo e una donna e l’amore che non può nulla contro il consumarsi della vita. Ogni immagine del film di Haneke racconta la normale perdita di una quotidianità felice, il sopravanzare del dolore verso l’ineluttabile, cui si può rispondere solo con ultimi, estremi gesti: Jean Louis Trintignan e Emmanuelle Riva sono i corpi che si svuotano l’uno nell’altro dentro la glaciale ricognizione del dolore che è Amour.
3. Hugo Cabret. Con una storia di cinema, infanzia e meraviglia, Scorsese torna a dare il meglio di sé, riuscendo a trovare nel 3D lo strumento perfetto per immettere nuova linfa nei propri virtuosismi. Hugo Cabret traduce in immagini l’amore totale per il cinema, sintetizzando la sua essenza meccanica con quella di spettacolo visivo, il suo ruolo di creazione di simboli dell’immaginario con il puro gusto per il racconto; e dopo la visione, tutti a riscoprire Méliès. Altro che The Artist.
4. The Avengers. Joss Whedon confeziona il blockbuster perfetto, riuscendo nell’impresa difficile di dare personalità e spessore ad ogni componente dell’armata Marvel. Iron Man il più divertente e Hulk il più profondo, in mezzo la giusta quantità di azione di qualità. Cinema-spettacolo che travolge e sazia, come dev’essere quando si tratta di suepereroi.
5. Young Adult. Nonostante abbia le fattezze di Charlize Theron, Mavis è la donna che nessuna di noi vorrebbe diventare: la sua vita è tremendamente sbagliata, bloccata com’è in un’eterna adolescenza fatta di vizi compulsivi e irresponsabilità, atteggiamenti fuori luogo e ossessivo autocompiacimento. Dal prom e le reginette di bellezza, alle falsificate opposizioni città e periferia, al falso mito del successo, Reitman nasconde sotto il tono da commedia una rappresentazione perfetta e disturbante dell’eredità di simboli e abitudini tutti nordamericani.
6. Hunger. Il successo di Shame ci regala l’arrivo nei cinema italiani del primo lungometraggio di Steve McQueen. L’era Thatcher lascia segni indelebili sulle pareti dell’inferno del Maze e sui corpi dei dissidenti dell’IRA lì imprigionati: regista materiale, McQueen scopre e mostra la violenza, poi si ferma indugiando genialmente in un lunghissimo dialogo in cui il ribelle spiega le sue ragioni all’uomo di fede, prima di lasciare che l’agonia di Bobby Sands ci arrivi dritta agli occhi, allo stomaco, alla mente.
7. La guerra è dichiarata. I genitori più credibili che sia capitato di vedere on screen da un bel po’ di tempo. Valérie Donzelli vince mettendo in gioco se stessa, l’amore e il suo ondeggiare, la famiglia e soprattutto la malattia, quell’ingiusto attacco al piccolo Adam contro cui è necessario combattere con ogni mezzo. Vitalità estrema, dramma e “francesità” in un equilibrio commovente.
8. Shame. Fassbender e Mulligan perfetti a incarnare due facce della stessa medaglia, due modi di vivere la disperazione. L’esibizione di una sofferenza scomoda dell’una scalfisce appena la maschera dell’ipocrisia dell’altro, dietro cui si cela la dipendenza, coazione a ripetere che aggiunge nulla al nulla. New York la cornice acquosa in cui McQueen immerge senza psicanalizzare un dramma contemporaneo innervato dei pericoli di una società del successo che offre tutto e in cambio divora dentro.
9. L’arte di vincere. L’utopia sportiva di Billy Beane è una strategia bizzarra che si fonda sulla statistica per controbattere i milioni di dollari che influenzano inevitabilmente i campionati di baseball. Gli ottimi Brad Pitt e Jonah Hill danno vita all’incontro tra sport e matematica: a suo modo un atto di ribellione al mercato, oltre che un inno alla seconda possibilità, che sia arte di vincere o di perdere.
10. Cosmopolis. La lontananza dallo sporco reale è peccato mortale. Cronenberg rende cinematograficamente perfetta la micro-rappresentazione della crisi economica secondo DeLillo: gioca con gli spazi, fa dialogare un interno lussuosamente angusto con un esterno mortalmente pericoloso e opprimente, si diverte a demolire il divo Robert Pattinson deturpando la sua assenza di emozioni con visite mediche spinte e torte in faccia. Qualche dialogo sarà poco digeribile, qualche personaggio della carrellata non sarà azzeccatissimo, ma Cosmopolis rimane indubbiamente tra i film più significativi dell’anno.

SERIE TV

1. Mad Men season 5. Sarà banale ribadire che Mad Men è la migliore serie in circolazione, ma per non dare adito a dubbi al suo quinto anno di trasmissione Weiner e soci sfornano forse la stagione migliore: sicuramente la più cupa e complessa. Chapeau.

2. Louie season 3. Oggigiorno la visione di Louie dovrebbe essere obbligatoria per gli appassionati di comicità (o per tutti, forse). Louis C.K. scrive, dirige e interpreta la sua stagione più ambiziosa, tra i soliti colpi di genio e maestose guest star.

3. Treme season 3. Nella New Orleans post-Katrina si svolge il miglior racconto corale della serialità attuale, inspiegabilmente poco considerato. Creatura di David Simon, il terzo anno è quello in cui i protagonisti faticosamente alzano la testa, agiscono, ricostruiscono, progettano, e in molti casi si scontrano con il potere e le sue insidiose incarnazioni. Ma finché c’è la musica, tutto andrà bene.

4. Game of Thrones season 2. La miglior trasposizione possibile della saga-fiume di Martin continua convincente nonostante l’esplosione di location e punti di vista, l’aumento esponenziale di personaggi e della carne al fuoco. In attesa trepidante di un terzo anno di epica godereccia.

5. Parks and Recreation season 5. Cambiano un po’ le carte in tavola e Parks and Recreation dimostra ancora una volta di essere la comedy che più ha a cuore i propri personaggi: nuovi love interest, ascese personali e politiche, i protagonisti evolvono senza snaturarsi mai, e rimanendo dunque dannatamente divertenti.

Segnalazioni sparse:
Good Vibrations e Smashed, visti al Torino Film Festival; Diaries (1971-1976) di Pinkus, visto ad Archivio Aperto; Breaking Bad, recuperato fino alla quarta stagione; la seconda stagione di Homeland; Zerocalcare; Reality, il film italiano che ho preferito, ma non abbastanza.

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La top ten 2012 di Lisa Cecconi

Eleonora Degrassi hugo cabret

1. Hugo Cabret 3D. Piangere al cinema. Non per l’orfano dal triste destino, non per l’amore del meccanismo che, instillato dal padre perduto, ritrova un padre nel padre del cinema. Ma per la gioia dello stupore e l’ebbrezza di uno spettacolo dalla bellezza sconvolgente. Scorsese gioca tutte le carte del meraviglioso e noi non potremmo essergliene più grati.
2. Another Earth. L’esordio eccellente di Mike Cahill. Con Rhoda che sfiora dopo aver distrutto, tace per non gridare e rassetta una vita irrimediabilmente a pezzi. Fantascienza consapevole dei precedenti che trova la strada per un percorso tutto suo. Di dramma deglutito e musica di rumori.
3. Killer Joe. Joe è violento, spietato e insensibile. Ma attorno a lui sono tutti anche più putridi. Tranne Dotty… forse. L’America sporca e abbrutita, Matthew McConaughey in grazia di Dio e la regia, perfetta, di William Friedkin.
4. Cosmopolis. Cronenberg sviscera l’odissea capitalista con lo scollamento tra realtà e linguaggio, verbose ossessioni e alienanti feticci. De Lillo si insinua tra le pieghe – e le piaghe – del caos contemporaneo, la limousine arranca nel traffico di Manhattan, una sonda anale penetra il corpo di Pattinson. Percorsi impietosamente audaci, alla ricerca dell’anomalia.
5. Moonrise Kingdom. Una fuga narrativa, figurativa, musicale. Wes Anderson firma un film esteticamente eclettico ma orchestrato, letteralmente, con equilibrio. Fuggire è anche cercare, mentre amare è saper prendere posizione contro la resa allo status quo. Da bambini come da adulti.
6. The Avengers. Doveva essere il più forzato, didascalico e artificioso. Ma Joss Whedon scardina le aspettative, schiva i rischi e annienta la noia. The Avengers è come Hulk. Spacca!
7. Hunger. Prima di Shame e forse meglio. La parola torrenziale tra due fiumi di silenzio, l’incendio di una vita che non rinuncia a insorgere e McQueen che toglie a Fassbender prima gli abiti e poi la carne.
8. Magic Mike. Soderbergh il commerciale, Soderbergh l’impegnato. Soderbergh Ocean’s, Soderbegh Bubble. Magic Mike racconta la crisi, l’American Dream illuso e deluso, il ridimensionamento delle aspettative. A suon di spogliarelli.
9. Attack The Block. Chi ha detto che attacco alieno significa budget madornale e eroi nazionalisti? Gli alieni di Attack the Block sono scimmioni dai denti fluo e il fronte dei buoni è una baby-gang. Fresco esordio di Joe Cornish che sorprende per l’ingegno e il ritmo. Attenzione, però: I ragazzini parlano in slang e temono il doppiaggio più dei bestioni.
10. Lawless. Carne e sangue, fango e sudore. Quella di John Hillcoat è davvero la contea più fradicia del mondo. Musiche e script di Nick Cave, cast sensazionale e regia impeccabile. Tutti fattori che non bastano a cancellare il sapore del già visto – o del pacchetto confezionato “ad oscar” – ma che convincono nell’eleggere l’atmosfera à la Boardwalk Empire ad allegoria ideale del contemporaneo.

Serie tv: Girls. Fumetti: Lo sconosciuto.

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La top ten 2012 di Alice Cucchetti

Alice Cucchetti moonrise kingdom

1. Moonrise Kingdom di Wes Anderson
2. Young Adult di Jason Reitman
3. Cosmopolis di David Cronenberg
4. Diaz di Daniele Vicari
5. La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli
6. Hugo Cabret di Martin Scorsese<
7. Quella casa nel bosco di Drew Goddard
8. La talpa di Tomas Alfredson
9. Tutti i santi giorni di Paolo Virzì
10. Bella addormentata di Marco Bellocchio

Fuori per un soffio: Io e te di Bernardo Bertolucci, Killer Joe di William Friedkin, The Avengers di Joss Whedon, Argo di Ben Affleck, Amour di Michael Haneke, Shame di Steve McQueen, Millennium. Uomini che odiano le donne di David Fincher, Attack the Block di Joe Cornish, La parte degli angeli di Ken Loach.

I film più belli non sono (ancora?) usciti: The Master di Paul Thomas Anderson, Spring Breakers di Harmony Korine, Holy Motors di Leos Carax, Anna Karenina di Joe Wright, A Ultima Vez Que Vi Macau di Joao Pedro Rodrigues e Joao Rui Guerra de Mata, Final Cut. Ladies & Gentlemen di Gyorgy Palfi, La cinquieme saison di Peter Brosens e Jessica Woodworth, The We and the I di Michel Gondry, Aprés mai di Olivier Assayas.

Piccolo (schermo) a chi?: Girls di Lena Dunham, Il trono di spade di David Benioff e D.B. Weiss, Community di Dan Harmon, Louie di Louis C.K., Enlightened di Laura Dern e Mark White, Sherlock di Steven Moffat e Mark Gatiss, Suburgatory di Emily Kapnek, Shameless di Paul Abbot, American Horror Story: Asylum di Ryan Murphy e Brad Falchuk, The Newsroom di Aaron Sorkin, Don’t Trust the B**** in Apt. 23 di Nahnatchka Khan.

Capolavori rivisti in grande: The Blues Brothers di John Landis, C’era una volta in America di Sergio Leone, Ritorno al futuro di Robert Zemeckis, E.T. L’extraterrestre di Steven Spielberg, Il mucchio selvaggio di Sam Packinpah, Il castello nel cielo di Hayao Miyazaki, Titanic di James Cameron.

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La top ten 2012 di Eleonora Degrassi

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1. Hugo Cabret (Martin Scorsese). Scorsese e il suo Hugo ci fanno perdere e ritrovare insieme. La stazione ferroviaria in cui vive Cabret è una cartolina che non possiamo non amare, siamo lì – finalmente il 3D è scelta estetica e artistica – con lui e vediamo con i suoi occhi la stazione, il mondo, il Cinema. Da lì non vorremmo andarcene mai, perché tra gli ingranaggi dell’orologio è bello vivere.
2. La guerra è dichiarata (Valérie Donzelli). Quando un bambino ha un tumore, il dolore entra nelle ossa e il mondo crolla, si inveisce, si urla, ci si odia, e ci si chiede “perché”. Ma, per Valérie Donzelli – che ha vissuto sulla sua pelle questo dramma -, lo spettacolo deve continuare, la vita deve andare avanti, confidando unicamente nella guarigione. È un film che ci “insegna” ad indossare l’armatura, ad armarsi del più bel sorriso e continuare a vivere. La storia vera della Donzelli, senza finti patetismi, oltre che essere una dichiarazione di guerra, ci consegna una semplice dichiarazione d’amore.
3. Moorise Kingdom (Wes Anderson). L’incontro tra Suzy e Sam è il bell’incontro, quell’incrocio di sguardi che tutti vorremmo e dovremmo avere. I due sono legati da un sentimento puro e semplice, lettere in cui raccontarsi e svelarsi, per trovare un po’ di pace alla loro solitudine. Suzy e Sam sono dei piccoli già grandi, in lotta con adulti mai cresciuti. Il film di Anderson, poetico e lunare, ci “insegna” che quando ci si sente tristi, soli, un po’ depressi basta andare su un’isola, raccogliere tutti i propri segreti in una valigia e danzare e, anche se per poco, tutto passa.
4. Hunger (Steve McQueen). Fame e sporcizia. Botte e ribellione. Il corpo di Bobby Sands, prigioniero del carcere nordirlandese di Maze, è al centro, un corpo decomposto, sofferente, icona delle stazioni della Via Crucis, corpo che si contorce di fronte i nostri occhi. I sensi si perdono, non servono più, e tutto, il dolore, il dramma, la prigionia, esplodono in un urlo straziante. Hunger è un film che ti entra dentro, è poesia che fa male, vangelo su cui giurare, fede per la quale ribellarsi. Libertà, fame e bellezza.
5. Detachment. Il distacco (Tony Kaye). Non c’è nulla di più “normale” della paura e della solitudine e il film di Kaye ce lo racconta. Le ferite, le angosce, la depressione sono compagne di vita triste e sfiancante. Il professor Barthes – credibile Adrien Brody, che ha stampato il dolore sul volto -, di fronte alla sua classe, è prima di tutto un uomo, con i suo vuoti e i pieni, con un dolore atavico che porta dentro – perché siamo ciò che siamo anche per le violenze subite, dal destino, dalla vita, da Dio. Kaye racconta un dramma malinconico, doloroso e tormentato.
6. Killer Joe (William Friedkin). Sono brutti, sporchi e cattivi i protagonisti di Killer Joe. Nessun valore è salvo, nessuno si salva, non ci sono santi, né eroi, c’è solo un’orgia di rabbia, sporcizia, sangue e “Texas”. Non si parla del sogno americano per questi bifolchi, il germe del male è insito nella stessa famiglia. Fuori il temporale, dentro l’inferno, dentro di noi il profondo abisso, fuori lo squallido Texas… il film di Friedkin, grazie a un Matthew McConaughey meraviglioso, è un congegno perfetto, sadico e folle.
7. Argo (Ben Affleck). In Argo realtà e finzione si fondono e confondono. Il terzo film di Ben Affleck è una storia vera, narrata con immediatezza e forza; è un film che non fa sconti, non dà scusanti. Tutto è vicinissimo, nonostante la distanza, l’Iran sembra essere dietro l’angolo. L’odore della paura, dell’angoscia arriva fino a noi. C’è chi si salva e chi muore, chi uccide e chi viene ucciso. E alla fine c’è il Cinema.
8. L’estate di Giacomo (Alessandro Comodin). Non si tratta del solito lavoro sull’adolescenza, quella di Alessandro Comodin è un’opera delicata, “gentile” che sta tra il documentario e la finzione, raccontando di una giornata d’estate di Giacomo e Stefania. La loro forza genuina è tanto dirompente e dilagante che si crea un rapporto magico tra noi e loro. Lo spettatore si perde nei giochi di queste due anime belle che si scoprono, fisicamente ed emotivamente. Tra scherzi e risate, L’estate di Giacomo ci penetra dentro, facendoci sentire di nuovo innamorati.
9. Amour (Michael Haneke). Ci sono storie che non vanno raccontate, bisogna essere forti, giovani, belli e vincenti, Haneke invece racconta i momenti lenti e trascinati di queste due anime gemelle, dei loro riti quotidiani. Si parla di morte, di vita, d’amore, di persone che se ne vanno e di quelle che restano. Sprofondiamo nella paura – di restare soli, di perdere qualcuno -, nello svilimento di chi si sente un relitto, un peso. Il Trintignant di Il sorpasso qui splende dei suoi capelli bianchi e delle sue rughe profonde.
10. Cesare deve morire (Paolo e Vittorio Taviani). “Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”, così il capocomico Cosimo Rega, detenuto a Rebibbia, parla della sua esperienza nel Giulio Cesare. La genesi dello spettacolo al centro, l’universalità dei testi shakespeariani e l’opera prende corpo. I fratelli Taviani sono uomini d’onore.

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La top ten 2012 di Martina Farci

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1. Hugo Cabret 3D. Hugo Cabret non è solamente un film. È un viaggio che ci porta in un mondo dove protagonisti sono il cinema e i libri. È un inno al grande amore di Martin Scorsese, ma non solo. Per la prima volta con una favola per bambini, il regista ci regala due ore di magia, dove immagini e atmosfere particolari si mescolano, impreziosite da una funzionante terza dimensione.
2. Argo. Ben Affleck, alla terza prova da regista, convince tutti. Argo sembra una sceneggiatura hollywoodiana, ma rappresenta un fatto realmente accaduto. E la sua forza è propria questa. Non solo rendere credibile la storia, con gli attori che sono identici alle persone reali, ma soprattutto tenere lo spettatore con il fiato sospeso. Il finale è già scritto, ma guardando il film ce se ne dimentica, merito della bravura del regista e delle sue particolari scelte stilistiche. Argo non porta solo alla luce una storia incredibile, ma consacra anche un nuovo autore.
3. Reality. Matteo Garrone non poteva rappresentare meglio il mondo di oggi, quel mondo che è cambiato per colpa (o per merito) della tecnologia e delle sue conseguenza. Fra questi sicuramente la televisione e i suoi reality. Molte persone vivono in funzione di diventare qualcuno, ne sono ossessionati a tal punto da rinunciare a tutto, ma soprattutto a cancellarsi completamente. Una denuncia molto forte, ma necessaria.
4. Moonrise Kingdom. L’amore vero, puro, adolescenziale. Quello che non si pone domande, ma semplicemente si vive. E Wes Anderson lo rende pura magia. La fuga d’amore di Suzy e Sam ne è la dimostrazione. Non è solo una fuga d’amore, è un’avventura, un’esperienza di vita che gli adulti non solo non accettano, ma neanche capiscono. E per una volta i bambini sono loro.
5. J. Edgar. La vera storia di J. Edgar Hoover, fondatore dell’attuale FBI. E tutti i segreti di cosa si è nascosto dietro a uno degli uomini più potenti. Clint Eastwood non si lascia sfuggire niente, anzi. Uno dei personaggi più controversi dell’America viene descritto minuziosamente, riuscendo a scavare nella profondità delle sue azioni, e di conseguenza del Paese. Un film importante che forse non ha ricevuto la giusta riconoscenza. Clint Eastwood si conferma e Leonardo Di Caprio è in stato di grazia.
6. Cosmopolis. Eric Packer è un giovane dell’alta finanza e ha tutto ciò che vuole: dalla limousine alle donne. E anche se il suo impero è a rischio, non vuole rinunciare ad attraversare la città per andare dal suo barbiere di fiducia. Cronenberg ci introduce in un mondo quasi claustrofobico, ma che gli permette di focalizzarsi sui dialoghi e sulla psicologia dei personaggi. Sembra quasi una seduta psicanalitica, dove l’espressione del volto e la tonalità delle parole hanno la loro importanza. E ci si gioca tutto. Robert Pattinson convincente alla prima prova d’autore.
7. Pietà. Leone d’Oro a Venezia 2012. Un uomo e una donna: lui è uno strozzino che maltratta e storpia i clienti, lei si presenta un giorno alla sua porta dicendo di essere la madre che l’aveva abbandonato. E le cose, sul lavoro, iniziano a cambiare. Kim Ki-Duk si focalizza su temi contrastanti quali la vendetta, il denaro, il perdono e la pietà. Con immagini crude e di forte impatto visivo, il messaggio che lascia è comunque importante: non c’è vendetta migliore di quella che ferisce l’anima umana.
8. Io e Te. Bernando Bertolucci torna al cinema con una storia tratta dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti. Lorenzo e Olivia sono due fratellastri che si ritrovano nella cantina di casa: fugge dalla vita lui, lei cerca di rientrarci. Il dramma della solitudine, della depressione visto dagli occhi adolescenziali, e con un Bertolucci che si sofferma su tutte le sfumature, perché la vita a volte è veramente difficile da capire, e da vivere. I due attori protagonisti non potevano avere debutto migliore.
9. Paradiso Amaro. Le Hawaii sono da sempre sinonimo di paradiso. Ma non per il protagonista del film, un George Clooney molto convincente. Con una moglie in coma, si ritrova catapultato in una vita che non pensava di conoscere: il tradimento di lei, due figlie adolescenti di cui non sa niente. Il lavoro era stato al centro della sua vita, anche troppo. Alexander Payne mostra quindi la trasformazione di un uomo, che con i suoi mille difetti è pronto a ricominciare, a rimettersi in gioco, accorgendosi, forse ancora in tempo, di quello che stava perdendo. E dimostrare che il Paradiso poi così dolce non è.
10. One day. Em e Dex o Dex ed Em. E una grande storia d’amore. Due ragazzi che si conoscono, si amano, ma non hanno il coraggio di dirselo. L’evoluzione delle loro storie viene ripresa il 15 luglio di ogni anno: le strade che si dividono, i cambiamenti, le delusioni, le vacanze. Una storia diversa dal solito per la sua semplicità e verità. E perché, nonostante tutto, il vero amore alla fine ha sempre ragione. Tratto dal best-seller Un Giorno di David Nicholls.

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La top ten 2012 di Mattia Filigoi


Chronicle

1. CHRONICLE
2. KILLER JOE
3. COSMOPOLIS
4. DIAZ
5. LA TALPA
6. UN POLIZIOTTO DA HAPPY HOUR
7. MOONRISE KINGDOM
8. MILLENNIUM. UOMINI CHE ODIANO LE DONNE
9. THE AVENGERS
10. THE IRON LADY

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La top ten 2012 di Andrea Moschioni Fioretti

Andrea Moschioni io e te

1. IO E TE di Bernardo Bertolucci. Il ritorno di un Maestro, un film piccolo ma enormemente importante per esprimere ancora una volta la potenza del cinema. Un finale “alla Truffaut” che emoziona.
2. CESARE DEVE MORIRE dei fratelli Taviani. Il ruggito dei fratelli Taviani contro il sistema e le sue miopie. Uno tra i film più “giovani” degli ultimi anni.
3. 007 SKYFALL di Sam Mendes. Mendes a suo agio nell’action, Bond più umano che mai, Bardem cattivissimo: un mix da Oscar.
4. DIAZ – NON PULIRE QUESTO SANGUE di Daniele Vicari. Un film necessario, politico, civile, non perfetto ma da far vedere a tutti, per incazzarsi, ricordare e combattere: sempre!
5. COSMOPOLIS di David Cronenberg. Film d’autore pieno di spunti sul nostro oggi, amore per il cinema e per gli spettatori. Cronenberg immenso, Pattinson perfetto.
6. È STATO IL FIGLIO di Daniele Ciprì. Esordio di un giovane-veterano del cinema come non si vedevano da anni nel nostro cinema. Una storia crudissima, stereotipata, avvolta in un cinismo che non si dimentica. Attori volutamente sopra le righe. Amore a prima vista!
7. KILLER JOE di William Friedkin. Violento e realista, una provincia americana sempre più sporca e cattiva. Il ritorno di un regista che non smette mai di stupire e finalmente un ruolo degno di nota per McConaughey.
8. ARGO di Ben Affleck. Terza regia di Affleck, terzo ottimo film. Un classico che più classico non si può, con un epilogo che tiene incollati alla poltrona.
9. IL SOSPETTO di Thomas Vinterberg. La stupidità umana in un racconto che esprime tutte le contraddizioni dell’essere umano. Dolente, bellissimo, quasi un documentario che lascia smarriti per la sua schiettezza e onestà.
10. REALITY di Matteo Garrone. Un film riuscito a metà ma con un inizio e un finale da pelle d’oca. Garrone si riconferma narratore dei nostri tempi con un respiro internazionale sempre più marcato.

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La top ten 2012 di Michele Galardini

Michele Galardini cesare deve morire

1 – Cesare deve morire (Paolo e Vittorio Taviani). Un capolavoro. Forse il più bel film realizzato dalla coppia di registi pisani, arrivato come un fulmine sul far della sera, della loro sera, eppure mai senile nel raccontare una storia universale, mai compiacente nell’avvicinarsi a vite difficili e ad una prigionia che è interiore, prima che fisica.
2 – Pietà (Kim Ki Duk). Un film che fa star male, sconsigliato a chi non vuole addentrarsi negli abissi dell’umano dolore. La rabbia e la vendetta, l’espiazione finale che colpisce dritto allo stomaco e un senso di solitudine totale che è specchio di un universo grigio e di un mondo corrotto che nemmeno l’amore può redimere.
3 – Diaz – Don’t clean up this blood (Daniele Vicari). Lasciando da parte le critiche pretestuose di tanta stampa attenta alla cronaca più che all’arte, Diaz ha tutte le carte in regola per diventare il film della nostra generazione, di quelli che il G8 lo hanno vissuto nemmeno maggiorenni o lo hanno seguito sui media di Stato senza capire che stavano assistendo alla morte dei loro diritti.
4 – 007 Skyfall (Sam Mendes). Senza dubbio uno dei migliori 007 di sempre, diretto da un autore attento e interpretato dal più amato James Bond della storia. Un punto zero nella saga, una croce sul passato che apre la strada ad un futuro tutto da scoprire.
5 – Killer Joe (William Friedkin). Bellissimo noir anarchico dove ogni punto di riferimento cade sotto i colpi freddi di un assassino maniacale che (ci) tortura senza dare via di scampo. Una poetica vicina a quella di Haneke ma più gore, più eccessiva, forse ammiccante, ma sicuramente divertente e a tratti indimenticabile.
6 – Moonrise Kingdom (Wes Anderson). Favola d’amore impossibile da raccontare senza il tocco andersoniano. Apice della sua ricerca stilistica e del suo personalissimo modo di raccontare incredibili storie di vita normale. Là dove chiunque sarebbe cascato nel ridicolo, lui sorprende e rilancia col sostegno di grandi interpreti calati in panni quanto mai inediti.
7 – Paradiso Amaro (Alexander Payne). La morte che divide e, allo stesso tempo, unisce. Un paradiso terreno trasformato in inferno dalle verità mai dette. L’ironia sempre pronta a stemperare il dramma ma mai con invadenza e un suono lontano, quello hawaiano, diverso a seconda dell’isola, contrappunto di malinconia e di gioia.
8 – Argo (Ben Affleck). Un film dichiaratamente democratico, forse fin troppo esposto ad etichette, che però Affleck dirige con i tempi giusti, con gusto e colori molto retrò. Suo comunque il merito di aver fatto luce su di un episodio semi-sconosciuto che aveva in nuce tutte le carte in regola per diventare una storia da grande schermo.
9 – A simple life (Ann Hui). Una storia semplice, una vita semplice, la più difficile da raccontare. Ricorrendo ai grandi maestri del cinema orientale, su tutto Ozu, le piccole cose di tutti e giorni diventano tasselli fondamentali, biforcazioni ineludibili che ci avvicinano alla consapevolezza della nostra esistenza.
10 – L’intervallo (Leonardo Di Costanzo). Piccolo gioiello italiano, arrivato in sordina a Venezia e accolto con applausi meritatissimi. La camorra raccontata ma non mostrata attraverso le vite di due vittime del sistema. Carnefice lui, prigioniera lei, eppure legati dalla loro gioventù, da sogni e da sentimenti che quel mondo fa di tutto per cancellare attraverso la paura e l’ignoranza.

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La top ten 2012 di Luca Giagnorio


Hunger
1. Hunger di Steve McQueen. Ingiustizia, disgusto e ira. Queste le emozioni prepotenti che suscita un film come Hunger, radicale, coraggioso e bellissimo. La triste fine di Bobby Sands e di altri attivisti irlandesi lasciatisi morire per fame per protestare contro le disumane condizioni delle carceri inglesi e farsi riconoscere il diritto di essere considerati prigionieri politici e non comuni criminali. Le sofferenze dei detenuti, la loro ribellione, le violenze subite per mano dei secondini, sono raccontante da una macchina da presa implacabile e onnipresente che non risparmia nulla all’occhio dello spettatore (e al suo stomaco). Michael Fassbender è straordinario nel donare il proprio corpo alla causa del suo personaggio, concedendosi senza pudori al regista e al freddo occhio della macchina da presa. In cambio, ecco il sommo risarcimento attoriale: un long take di 16 minuti, l’unico vero dialogo del film, in cui può dimostrare tutta la sua bravura. Chapeau.
2. Amour di Michael Haneke. Tra il pessimismo cosmico di Melancholia e la fede teologica di The Tree of Life, ecco (a un anno di distanza) la terza via nitidamente laica di Haneke nell’indagare amore, vita e morte. Lontano dalla potenza visionaria di von Trier e Malick ecco un perfetto saggio sull’essenzialità di racconto e di messa in scena. Tutto accade in un appartamento che diviene paradigma dell’esistenza: scavando implacabilmente nelle profondità dei sentimenti umani, attraverso un susseguirsi d’inquadrature fisse e geometriche, Haneke si erge al livello di maestri della rarefazione come Bresson e Dreyer.
3. Il cavaliere oscuro. Il ritorno di Christopher Nolan. Degna conclusione della trilogia di Nolan dedicata all’uomo pipistrello. Tra mirabolanti scene d’azione, allusività sessuali, echi contemporanei a terrorismo e crisi economica, colpi di scena, gadget tecnologici, dialoghi brillanti, il puro divertimento spettacolare è garantito. In più troviamo personaggi sfaccettati e interessanti al fianco di un eroe oscuro capace di conquistarci nel suo essere quasi sempre sconfitto proprio per l’integrità “cavalleresca” della sua lotta contro il male condotta per puro altruismo. E il rapporto paterno che lega Bruce Wayne ad Alfred tocca questa volta vertici di commozione e profondità finora sconosciuti all’universo del cine-fumetto.
4. Shame di Steve McQueen. New York, metropolitana. Lo sguardo limpido di Michael Fassbender, colmo di bramosia e disperazione, incrocia quello di una bellissima ragazza e inizia uno scambio fatto di espliciti sottintesi, assecondato dal gioco d’inquadrature che alternano particolari dei corpi e dei gesti compiuti: l’erotismo è palpabile. Stessa città, stesso luogo, stessi interpreti, però alla fine del film, non più all’inizio. Tutto sembra identico eppure il gioco dei raccordi di sguardo in apparenza non regge più: Brandon è cambiato, forse. Bastano due scene gemelle che, senza una parola di dialogo, riescono e raccontare una storia, una vita? Bastano.
5. Il sospetto di Thomas Vinterberg.Abbandonate le provocazioni visive del Dogma, Vinterberg si mette al servizio della storia e dei suoi personaggi. Una regia pulita e invisibile immerge lo spettatore nella cupa atmosfera di una cittadina nordica alle prese con uno scottante caso di pedofilia. Al fianco dell’accusato e innocente insegnante assistiamo al degradante spettacolo di un’umanità troppo frettolosa nel condannare i presunti colpevoli e incapace di controllare istinti brutali e animaleschi. Crudele, pessimista e intenso. Ottima performance del protagonista Mads Mikkelsen.
6. Young adult di Jason Reitman. Cinica e sarcastica rappresentazione della società americana e di una generazione di adulti immaturi e superficiali volutamente incapaci di “crescere”. Reitman e la sceneggiatrice Diablo Cody (già insieme per Juno) sono cattivi al punto giusto rifuggendo falsi moralismi e tardivi ritorni di coscienza. Molto merito va anche a Charlize Theron, bravissima nel regalarci la sgradevole e arrogante Mavis Gary, uno dei migliori villain cinematografici dell’anno.
7. Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani. Volti segnati da sofferenza e cicatrici, contratti e concentrati mentre recitano celebri versi shakespeariani; corpi che si muovono con energia su un palcoscenico un attimo prima di spegnersi immobili in una cella; parole solenni impastate da forti accenti; ira e violenza ora recitate, ora improvvisamente reali, tangibili e minacciose. Bianco e nero, un film di contrasti apparentemente inconciliabili. Carcerati che impersonano dei carcerati che recitano il Giulio Cesare. I Taviani ci sorprendono con un inatteso colpo di coda: ecco il miglior film italiano dell’anno.
8. Gli equilibristi di Ivano De Matteo. La rapida discesa agli inferi della classe media attraverso un impoverimento economico improvviso e irrimediabile. Privato della speranza, ecco che l’uomo si trova davanti il baratro: sfruttamento, degrado morale, fallimento. Valerio Mastandrea in un ruolo perfetto per il suo volto stropicciato e malinconico. Sempre in bilico tra l’incazzatura, il sarcasmo e la resa incondizionata, non è mai stato così convincente. Cinema sociale: doloroso, iperrealista e necessario.
9. Hugo Cabret di Martin Scorsese. Un’appassionata dichiarazione d’amore al cinema, alla sua magia e al suo mistero. Scorsese ci sorprende con un film “per ragazzi” in cui esplicita sapientemente tutto il suo gusto per la citazione cinefila in un affettuoso omaggio all’inventore del cinema di finzione Georges Méliès. Al netto di un intreccio e di personaggi non indimenticabili, sorprendono le splendide e labirintiche scenografie create da Dante Ferretti, esaltate da un 3D finalmente funzionale padroneggiato con maestria da Scorsese.
10. Sister di Ursula Meier. Un ragazzino che ruba per sopravvivere, una ragazza più grande imprigionata in un ruolo di sorella/madre che non riesce a gestire, l’impassibile maestosità delle montagne innevate. Tra il pedinamento dei personaggi caro ai Dardenne e uno sguardo “alla Ken Loach” di affettuosa comprensione verso gli ultimi, Ursula Meier ci regala un piccolo film intenso e sincero.

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La top ten 2012 di Paola Gianderico


Shame

1. Shame
2. Quasi amici
3. Hugo cabret
4. Cesare deve morire
5. Io e te
6. Gli equilibristi
7. Amour
8. Pietà
9. Tutti i santi giorni
10. Diaz

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La top ten 2012 di Lapo Gresleri


Amour
1. Amour di Michael Haneke
2. Oltre le colline di Cristian Mungiu
3. Cesare deve morire di Paolo & Vittorio Taviani
4. Padroni di casa di Edoardo Gabbriellini
5. Gli equilibristi di Ivano De Matteo
6. Killer Joe di William Friedkin
7. Detachment. Il distacco di Tony Kaye
8. Shame di Steve McQueen
9. Ribelle. The Brave di Mark Andrews & Brenda Chapman
10. Hugo Cabret di Martin Scorsese

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La top ten 2012 di Francesco Grieco


Hunger
1) Hunger. Il Bobby Sands interpretato dal solito, straordinario Fassbender è uno dei personaggi più sconvolgenti degli ultimi anni. Un corpo che si autodistrugge a poco a poco, ricoperto di piaghe, tra sangue e feci. Un uomo che giunge al sacrificio estremo per i propri ideali politici. Rinchiuso in una prigione, ma non per questo meno libero, Sands rappresenta perfettamente il confine labile tra coerenza e fanatismo. Il talento registico di McQueen, al suo esordio, è sorprendente e il long take del dialogo con il prete è un pezzo di grande maestria.
2) Killer Joe. Una vera lezione di regia. Friedkin ha ancora molto da insegnare alla maggior parte dei registi in circolazione. Non sbaglia un’inquadratura, sa bene cosa sia il ritmo e come colpire allo stomaco lo spettatore, ma con ironia – si pensi alla scena della coscia di pollo, già cult. Il film, inoltre, regala una seconda carriera a McConaughey, davvero perfetto nel ruolo di Joe, sadico angelo della morte, di nero vestito, intrufolatosi in un nucleo famigliare corrotto fino alla radice.
3) C’era una volta in Anatolia. Cinema d’autore con la A maiuscola. Ostico, ma prezioso per chi vi si accosta con lo stupore necessario a lasciarsi incantare dai lunghi piani sequenza dell’Antonioni turco. Ceylan lavora sui tempi morti del racconto, sulle pause di cui è piena la vita. E lo fa con la maturità di uno stile che rimarrebbe pura maniera, se non fosse espressione tra le più alte di un’idea critica della società turca contemporanea. Da vedere obbligatoriamente sul grande schermo di una sala, non in tv.
4) Young Adult. Una eccezionale Charlize Theron, nel ruolo che vale una carriera. L’ex reginetta di bellezza in crisi, incapace di diventare adulta, è l’antieroina al centro di un film crudele com’è la vita, quando non mantiene le sue promesse e trasforma i sogni di gioventù in stupide illusioni. Tra i pochi registi nordamericani di sicuro talento emersi negli ultimi anni, Jason Reitman trasforma in immagini di grande impatto l’efficace sceneggiatura di Diablo Cody, tra malinconie da perdenti e nostalgie anni Novanta. Destinato, ci auguriamo, a diventare un film di culto per i loser di ogni età e generazione.
5) 007 Skyfall. Non era facile aspettarsi dal pur sottovalutato Sam Mendes un film d’azione così riuscito, tra i migliori James Bond di sempre. Crepuscolare senza essere sentimentale, Skyfall ha numerosi punti di forza, tra cui citiamo almeno il cattivo inquietante e ambiguo interpretato da Javier Bardem e la fantastica fotografia del grande Roger Deakins. Semplicemente, il blockbuster dell’anno.
6) Cesare deve morire. Vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino, l’ultimo film dei fratelli Taviani è la prova che i due registi toscani hanno ancora molto da dare al nostro cinema. Al confine tra cinema di finzione e cinema della realtà, come molte tra le migliori opere cinematografiche italiane nelle ultime annate, Cesare deve morire è un film su quel teatro che è l’esistenza umana, sui ruoli da cui non si riesce ad uscire, sulla forza catartica dell’arte. Memorabile la sequenza dei provini.
7) Reality. Garrone spiazza pubblico e critica, che si aspettavano un nuovo Gomorra, realizzando un film che, pur non avendo l’ineguagliabile potenza del suo predecessore, ne eredita la capacità, unica, di osservare la realtà contemporanea, nei suoi aspetti più scioccanti e aberranti, e trasformarla in Cinema. Reality non giunge affatto in ritardo, come invece sostengono alcuni: l’ossessione per l’apparire, a discapito dell’essere, è un tema filosofico universale e non è legata al successo, ormai in calo, del Grande Fratello.
8) J.Edgar. Ennesimo tassello di valore nella filmografia di un autore venerabile, Eastwood, che non perde la sua lucidità con l’età, J.Edgar è soprattutto Di Caprio. Sempre più bravo, nonostante il trucco che lo invecchia grottescamente, Di Caprio è l’anima di un film ambizioso e complesso, sfaccettato e imprendibile. Un viaggio attraverso i decenni della storia americana, i suoi misteri, le sue paranoie. Ma anche uno sguardo, empatico e pudico, sulla vita di un uomo solo come pochi.
9) È stato il figlio. Il più richiesto direttore della fotografia italiano abbandona il cinico sodale Maresco per dirigere da solo un lungometraggio folgorante per intensità, umorismo, recitazione. Servillo ai massimi livelli, Nino D’Angelo in colonna sonora, gli stereotipi della sicilianità rielaborati in felice chiave grottesca. Il miglior film italiano all’ultimo festival di Venezia.
10) Diaz. Film di grande importanza e sincero impegno, a cui si può rimproverare solamente il fatto di non fare tutti i nomi, di non andare fino in fondo nel suo intento di denuncia politica. Ma Vicari sembra più interessato a rielaborare in una forma cinematografica da film horror una verità storica terrificante, indicibile secondo i canoni del realismo documentaristico,. L’esperimento formale si può dire riuscito: l’ingresso nella Diaz è una lunga, insostenibile sequenza di puro cinema, che colpisce al cuore e alla testa.

Tra gli altri film fondamentali del 2012, rimasti fuori per un soffio dalla top ten oppure (quasi) invisibili a causa dei risaputi problemi di distribuzione in Italia, ma fortunatamente da me recuperati soprattutto nei vari festival italiani, segnalo: in primo luogo Spring Breakers di Harmony Korine e The Master di Paul Thomas Anderson. E poi: To the Wonder di Terrence Malick, Captive di Brillante Mendoza, La cinquième saison di Brosens e Woodworth, 11.25 The Day He Chose His Own Fate del compianto Kôji Wakamatsu, gli incantevoli Final Cut – Ladies and Gentlemen di György Pálfi e Nostalgia de la luz di Patricio Guzmán, il vincitore morale di Cannes Holy Motors di Leos Carax, Quijote di Mimmo Paladino, Ribelle – The Brave di Mark Andrews, Brenda Chapman e Steve Purcell, Ted di Seth MacFarlane.

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La top ten 2012 di Sara Martin

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1-Moonrise Kingdom
2-La guerra è dichiarata
3-Magic Mike
4-Killer Joe
5-Reality
6-The Avengers
7-Il cavaliere oscuro. Il ritorno
8-L’estate di Giacomo
9-Io e te
10- Quasi amici

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La top ten 2012 di Margherita Merlo

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1. Hugo Cabret. Fino ad oggi, di sicuro il miglior 3D mai visto al cinema, gli occhi coccolati dai vorticosi avvitamenti della macchina da presa che, curiosa, esplora ambienti e personaggi. Se a questo si aggiunge la regia di Scorsese e la nostalgica magia del primo cinema delle meraviglie di Méliès, allora ogni tassello trova il suo giusto posto, per comporre un grande, grande film.
2. La guerra è dichiarata. E’ commovente e scioccante vedere quanta anima ci sia dentro la storia di due giovani, uniti per la vita nella dolcezza di una famiglia mentre realizzano cosa sia il dramma, come fare per affrontarlo e, alla fine, sopravvivere.
3. Reality. Garrone riesce a dipingere con originalità e stile le paranoie dell’uomo qualunque, la sua rapida caduta verso una pazzia deleteria quando la mente viene avvelenata da un presente fatto di lustrini e notorietà, perfidi fantasmi che mangiano l’anima.
4. The Avengers. Tonante, denso, spettacolare: lo si beve con gli occhi, invitati a immergersi in un’avventura epica, una lotta per salvare il mondo in compagnia del meglio della scuderia “supereroi Marvel” presente sul mercato.
5. Killer Joe. Il film è visivamente definito e mai esagerato, mentre gioca con temi stereotipati – la famiglia, la religione, l’amore – rivoluzionandoli alla radice e interpretandoli controcorrente, soprattutto senza paura di calcare la mano.
6. Moonrise Kingdom. Una fuga d’amore. Anderson e l’amore, serve dire altro? Dolce, ironico, spensierato, grandissima prova d’autore per un regista che sa come raccontare una storia. Raccontarla bene, davvero.
7. Il dittatore. Sacha Baron Cohen non perde occasione per dimostrare al mondo la sua sfrontatezza, confezionando una commedia acuta mascherata da satira demenziale, che a sua volta nasconde uno studio serio ed efficace su come rifilare alla società i suoi stessi difetti e paranoie. È proprio vero: una risata ci seppellirà, prima o poi.
8. Detachment. Il distacco. Un film ricco, glaciale e ingrato che si incarica di riflettere sulla società presente, sulla condizione dell’uomo impotente di fronte alla vita e ai suoi problemi, dietro di sé una scia di dissoluzione dove le tracce di una speranza per il futuro si fanno talmente evanescenti da lasciare il dubbio che esistano realmente.
9. La sposa promessa. Fill the void. Un amore forzato, nato per egoismo è la metafora per portare sul grande schermo una vicenda che silenziosamente trova il modo di esprimere i dilemmi interiori di una cultura, quelli fino a ieri nascosti agli occhi di un mondo inconsapevole. Un film lento, riflessivo e in fondo molto romantico, anche se la costruzione del sentimento non è mai stata così sofferta.
10. E ora dove andiamo?. Una commedia che ha tutte le qualità per incollare lo spettatore alla poltrona, divertendolo con pungente ironia, emozionandolo con drammi silenziosi, ammaliandolo con il colore, i profumi, la storia di una cultura da scoprire attraverso tutti i cinque sensi.

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La top ten 2012 di Teresa Nannucci


Hunger
1- HUNGER: Soprattutto chi non è digiuno di storia irlandese ritrova lo spirito di Bobby Sands nel volto di Fassbender. L’ultima ferita irlandese raccontata attraverso silenzi e chiaroscuri. Un’aberrazione che sia uscito solo nel 2012 e sulla scia del successo di un altro film.
2- THE IRON LADY: carente per molti aspetti, è l’esempio lampante di come un’attrice possa sorreggere l’intero film. Elogio filmico di Meryl Streep.
3- HUGO CABRET: torna Scorsese con una storia del cinema delle origini in chiave didattica.
4- MOONRISE KINGDOM: i personaggi dei Peanuts e di Mafalda prendono corpo nell’ultimo Anderson.
5- DIAZ: in un anno ricco di opere italiane sui capitoli oscuri della nostra storia, si distingue per semplicità ed asciuttezza.
6- TAKE SHELTER: il viaggio lento ed inesorabile di una paranoia. La cupezza cresce insieme alla tensione all’orizzonte.
7- IL DITTATORE: ritratto ben riuscito delle contraddizioni del mondo (politico) contemporaneo.
8- CESARE DEVE MORIRE: opera originale, innovativo e ben riuscita, portavoce del cinema italiano all’estero.
9- MILLENNIUM: raramente i film sono migliori dei libri da cui sono tratti, raramente la versione americana coglie la poeticità di altri Paesi. Fincher ci riesce. Magnifici titoli di testa.
10- RALPH SPACCATUTTO: Disney e Lasseter tornano a vincere con un’animazione che mette a confronto i cult Pac-Man e Tekken III con le nuove grafiche.

SERIE TV DA NON PERDERE
1- MISFITS – Season 3
2- AMERICAN HORROR STORY – Season 1
3- NON FIDARTI DELLA S**** DELL’INTERNO 23 – Season 1
FILM ABERRAZIONE DELL’ANNO: TO ROME WITH LOVE

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7 film secondo Lucia Occhipinti


Dark Shadows
Dark Shadows
Magnifica Presenza
Diaz
Pirati! Briganti da strapazzo
Là-bas
E ora parliamo di Kevin
Un mostro a Parigi

Questa classifica è una classifica assolutamente imperfetta perché, devo essere onesta, manca la quasi totalità della programmazione cinematografica del 2012. Le ragioni della mancanza sono forse giustificabili: non occupandomi a tempo pieno di cinema, manco all’appuntamento con la “prima visione” a meno che questa non mi venga assegnata. Mancano quindi film deprecabili: To Rome With Love, giusto per citarne uno; manca gran parte del cinema italiano: da Ciliegine a Romanzo di una strage e persino Cesare deve morire. Mancano film che avrebbero destato la mia curiosità: Il cavaliere oscuro. Il ritorno e Pollo alle prugne, Il primo uomo e Quasi amici, Hysteria e qualcos’altro che magari mi sfugge. Manca un film che quasi certamente mi sarebbe piaciuto: The avangers. Che valore ha questa statistica? Nessuno, dato che troppe sono le mancanze e troppo effimere le presenze: … E ora parliamo di Kevin è forse un bel film, diciamo che la sua forza sta nella sua attualità (aggiungo purtroppo) piuttosto che nella sua freddezza e Là bas è stato certamente un buon esperimento, forse passato un po’ troppo in sordina (come Sulla strada di casa – ma credo che il cinema italiano abbia bisogno di più coraggio e questi due film rappresentano senz’altro un buon esempio o, comunque, un buon inizio). Di Pirati! Briganti da strapazzo posso dire di avere apprezzato il lavoro che sta dietro un pupazzo, ma ad ogni modo è troppo poco per giustificare un quarto posto… Devo ammetterlo: vado troppo spesso a ignoti festival ricchi di sconociuti inediti e ignoro le ultime uscite – e non le scarico, è evidente, altrimenti la classifica sarebbe stata un’altra. E più che Peter Lord avrei citato qualche animazione di Sacrebleu Productions, ma per Chienne d’histoire correva l’anno 2010 e siamo fuori tempo massimo! Rispettiamo dunque le regole: Diaz. Sì, Diaz in fondo un terzo posto lo merita, non fosse altro per il dibattito che ha aperto. Ma io sono all’antica e amo i mostri sacri – specie se in crisi. Magnifica Presenza e Dark Shadows, dunque, vanno al secondo e al primo posto. Ozpetek e Tim Burton: due registi che usano un linguaggio cinematografico abusato, pieno di cliché ridondanti, attori ingessati e sceneggiature dalle battute calcificate. Ma Anna Proclamer è sempre Anna Proclemer e Tim Burton un onesto regista, quando in bocca ad un personaggio mette una confessione autoriale: “Dovete immaginarci in tempi migliori”. È vero, tutt’altro che il miglior film dell’anno, ma basta questo per farmelo amare comunque. Prendiamola così la classifica: parziale e inutile a fini statistici. Ma consideriamo anche l’altro lato della medaglia: il 2012 è stato un anno in cui valeva la pena andare al cinema.

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La top ten 2012 di Massimo Padoin

Massimo Padoin cosmopolis

1. Cosmopolis: il romanzo di De Lillo viene rispettato quasi alla lettera ma il lavoro di Cronenberg lo si vede nella messa in scena molto attenta e fine nel rapporto interno-esterno, aggiunge ulteriore significato al già pregno testo di partenza. Lavoro d’autore vero in un’opera davvero contemporanea con la messa in crisi della stasi capitalistica.
2. Millenium – Uomini che odiano le donne: Fincher prosegue la sua galleria di serial killer realizzando oltre due ore e mezza di vera goduria (ritmo e musica). La resa spaziale è magistrale, soprattutto a livello fotografico tra interni ed esterni, e come al solito fondamentale è il rapporto con la memoria qui legata all’archiviazione mediale.
3. Reality: il tema del reality è solamente nominato ma mai centrale, perfettamente in linea con i tempi rende al meglio di chiunque altro in immagini l’Italia berlusconiana e il suo post come contrasto di colorata decadenza spaziale. Garrone si conferma il più prezioso dei nostri talenti, peccato la pellicola sia stata da molti travisata.
4. C’era una volta in Anatolia: noir che indaga su chi deve indagare scavando nelle loro anime e nel loro passato, è un’opera dall’enorme fascino visivo e summa sull’incapacità umana di cogliere la verità, e il mistero come elemento centrale nella nostra esistenza.
5. Moonrise Kingdom: Anderson realizza la sua pellicola più complessa e completa, la destrutturazione della sovrastruttura sociale è attuata con una semplicità spiazzante, dove semplicità non è sinonimo di banalità in quanto processo tra i più complessi da raggiungere nell’attività artistica. Sceneggiatura e regia sono al servizio di questo intento mettendo in scena un racconto tremendamente dolce e coinvolgente. Cast geniale.
6. Amour: opera scissa, dal tema e dallo stile del suo autore ma allo stesso impossibile da pensarla diversamente. Ciò non ne fa necessariamente un pregio ma la lucidità di analisi del tema ne fanno un’opera fondamentale nel cinema di oggi. Possiede forse il momento più alto di cinema dell’anno, la sequenza del sogno.
7. Bella Addormentata: come Reality è il film che meglio rappresenta l’Italia nella sua moltitudine di contraddizioni, rappresentandone alcune delle sue figure senza però cedere a posizioni ideologiche. Il tema (il caso Englaro) è l’inizio per mettere in scena qualcosa di più ampio diventando poi un vero inno alla libertà personale.
8. Young Adult: la più amara delle commedie realizzate da Reitman che tra disincanto e cinismo si trova a perfezione nella sceneggiatura di Diablo Cody. I cambi di registro sono impalpabili con una continua oscillazione tra empatia e freddezza, lo spettatore rimane in balia delle azioni dell’inaffidabile protagonista. Per Charlize Theron prova da gran attrice.
9. Hugo Cabret: sintesi delle varie anime e ossessioni di Scorsese, dove a premere maggiormente è l’urgenza di conservare il passato. La cinefilia affrontata frontalmente porta alla rivisitazione di alcune opere Méliès che rifatte con il 3D, finalmente utile, sono una vera meraviglia.
10. Killer Joe: commedia nerissima di dissoluzione del nucleo famigliare che grazie ad un ottimo plot e alla regia di un Friedkin in forma nelle tempistiche, aggiungendoci non poco del suo senso dell’orrido, crea un mondo degradato popolato da viscidi personaggi sempre in bilico tra favola e pulp.

Visti altrove: The Master Paul Thomas Anderson, Spring Breakers Harmony Korine, The Lords of Salem Rob Zombie, No Pablo Larraìn, Holy Motors Leos Carax.

Videogiochi: Max Payne 3 Rockstar Vancouver, Dishonored Arkane Studio

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La top ten 2012 di Daniel Paone

Daniel Paone the avengers

1. The Avengers
2. Magic Mike
3. Il dittatore
4. Cosmopolis
5. Moonrise Kingdom
6. Dark Shadows
7. Man in Black 3
8. Hugo Cabret
9. Another Earth
10. Project X

In assenza di un titolo davvero significativo nel cinema d’autore, The Avengers è premiato per essere la migliore espressione del prorio genere, il film sui supereroi più riuscito degli ultimi anni. Due piccole opere prime come Project X e Another Earth sono preferite a film più blasonati per penalizzare molti dei grandi registi, quest’anno lontani dalle loro eccellenze. Fanno eccezione Steven Soderbergh, David Cronenberg, Wes Anderson, Tim Burton e Martin Scorsese (non il capolavoro acclamato ma un buon film Hugo Cabret) che ritornano ai massimi livelli. Sorprende Barry Sonnenfeld per la creatività con cui dirige anche il terzo Man in black ed è eccezionale Sacha Baron Cohen ne Il Dittatore di Larry Charles. Infine, meritano una citazione extra le due migliori serie tv viste in Italia: Black Mirror e la seconda stagione de Il trono di spade. Ps.: Il peggior film dell’anno è Red lights di Rodrigo Cortés.

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La top ten 2012 di Nicola Peirano

Amour di Michael Haneke

1- Amour
2- Hunger
3- Hugo Cabret
4- Millennium. Uomini che odiano le donne
5- L’intervallo
6- 007 Skyfall
7- Cesare deve morire
8- Pieta
9- Il cavaliere oscuro. Il ritorno
10- The Avengers

Quando si stila una classifica, la premura di non incorrere in forzature obbligate da qualche visione mancata – Moonrise Kingdom per un soffio – o di fondare le proprie scelte su parametri di giudizio non omogenei, porta a chiedersi: “Ma in tutto questo, esiste un perché?”. Scorrendo i titoli dell’ultimo anno, mi pare che quattro meritino di guardare i restanti dall’alto. Lontano anni luce dalle mie passioni cinefile e dalla mia visuale sull’esistenza, svetta un film tremendo quanto rasente la perfezione come Amour. Un primo posto imprescindibile per l’esatta corrispondenza tra immagine e significati, per la sua resa millimetrica della dialettica tra il pieno e il vuoto, per la capacità di oltrepassare lo schermo facendo cozzare il sottotesto del film con l’inconscio dello spettatore: un’opera di una linearità raggelante, statica in superficie ma tumultuosa nelle profondità. Sulla scia di Amour, in Hunger il silenzio impone un “non detto” che si esplicita nella carnalità di corpi e pareti che parlano da soli, nella materialità delle immagini che, deprivate di orpelli, sprigionano tutte se stesse. Di fronte ai voli pindarici nell’ultimo anno di qualche voce autoriale, mi sembra da premiare quell’essenzialità con la quale il cinema riesce ancora a raccontare il dolore dell’uomo senza sfociare nel patetico e nel tragico. Terzo posto quasi obbligato per Hugo Cabret: qui entra in gioco tutta la debolezza emotiva del sottoscritto sommata alla sua cinefilia, che ha ceduto di fronte a tanta poesia e tanti buoni sentimenti in un film colossale da un punto di vista visivo ma, forse, un po’ furbo nei suoi premeditati attacchi alle coronarie. Con Millennium iniziano le mie naturali “perversioni”. La conferma ad alti livelli di uno dei miei registi di culto, non mi induce a santificare il film, che però ha il merito indiscutibile di offrire qualcosa di inaspettato. La sorpresa di una vicenda riarrangiata unita a un nuovo tuffo nel mondo fincheriano mi ha fatto assaporare le pagine di Larsson sotto una nuova veste, superandole. Il primo dei due titoli italiani è un piccolo grande capolavoro che, se non fosse schiacciato tra i mostri sacri del cinema, potrebbe ambire al podio. L’intervallo è allo stesso tempo un’opera rarefatta ed esile nel suo linguaggio e nel suo contenuto, quanto densa e sublime nella sua forma. Il potere dell’improvvisazione dona una purezza grossolana a un film disadorno che fa innamorare proprio per il suo essere “in levare”, come uno dei due movimenti del solfeggio. Cesare deve morire, escluso da ben più importanti selezioni, entra in classifica di diritto e un po’ per necessità, nel tentativo di alzare l’asticella per il bel paese. Non perfettamente convincente nella sua sovrapposizione tra verità e finzione, fatalmente sminuito dal confronto a distanza con Shakespeare – che non è Larsson evidentemente –, è però il risultato di un’operazione gravosa, superba nelle intenzioni e godibile nel risultato. Pieta scalza Friedkin e Cronenberg nella categoria grandi autori, paradossalmente perché, da amante dei due esclusi, le attese ne hanno viziato la fruizione. Largo allora al film di Kim Ki-duk, forse sopravvalutato, ma di un’urgenza evidente nella sua condanna del capitalismo più esasperato e dell’utilitarismo programmatico. Attuale. Si chiude con tre blockbuster appartenenti a vario titolo al genere action. Indifferente alla saga di Bond, fan sfegatato dell’uomo pipistrello, rapito solo negli ultimi anni dall’universo Marvel, ho apprezzato la capacità di intrattenere senza stupire per eccesso, ma sorprendendo per difetto di stereotipi e scegliendo soluzioni non preventivate, almeno dall’occhio pronto alla critica feroce verso tutto ciò che nasce per essere commerciale e non autoriale. Ma, almeno questa volta, tra le due cose non c’è differenza.

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La top ten 2012 di Edoardo Peretti

Edoardo Peretti la guerra è dichiarata


1)LA GUERRA E’ DICHIARATA di Valérie Donzelli; si corre, si attende, si soffre, ci si preoccupa, si piange, si esulta, si ride insieme alla protagonista e a suo marito. Raramente negli ultimi anni si sono percepite in un film tanta vitalità e tanta speranza, e un così contagioso invito a vivere. Ottimismo ingenuo e ruffiano? Assolutamente no, perché sostenuto da una rielaborazione stilistica degna di una nouvelle vague, che trasforma un tema ad alto rischio di ricatto morale in una fiaba preziosa.
2)IO E TE di Bernardo Bertolucci; il grande ritorno non delude le attese: tra le quattro mura dello scantinato esplode il furore della passione ritrovata, quella del regista verso la settima arte. Tutto questo in un racconto di formazione che sa toccare le corde giuste, sgradevole quando serve e tenero nel complesso.
3)HUNGER di Steve Mc.Queen; formidabile saggio di costruzione cinematografica e di cultura visiva, dove le immagini assumono valore e preganza politica quasi in ogni fotogramma. é un pugno nello stomaco che non lascia scampo, ma che riesce anche a commuovere; un film che conquista la testa, lo stomaco e il cuore.
4)J.EDGAR di Clint Eastwood; il ‘Barolo’/Eastwood, dopo due annate discrete ma non eccelse, torna a livelli alti con un bio-pic leggibile a più livelli. Coscienza del paese e auto-coscienza dell’autore e del suo percorso, ancora una volta è il privato a diventare eminentemente pubblico; perché Eastwood sa benissimo, con buona pace degli ideologizzati di ogni parte e degli impegnati da salotto, che le figure che nel bene e nel male hanno fatto la storia sono grandiose, complesse e contraddittorie e che in loro inevitabilmente le luci e le ombre convivono, e il bianco e il nero si mescolano.
5)ARGO di Ben Affleck; basterebbe ricordare gli ultimi venti minuti che ti tengono incollato alla sedia, oltre alla solidità registica e all’abile mix di generi e toni. Ma la cosa più interessante di una storia per cui è calzante il modo di dire “sembra di essere in un film” è il continuo intrecciarsi di realtà e finzione, nell’intreccio come nel contesto raccontato. Ben Affleck alza l’asticella e cade in piedi: sarebbe l’ora di smetterla di stupirsi?
6)L’INTERVALLO di Leonardo Di Costanzo; perché fugge le trappole di un certo naturalismo italiano, interessato ai contenuti e disinteressato alla loro rielaborazione cinematografica, e regala una fiaba contemporanemente solare e oscura, speranzosa e impossibile.
7)KILLER JOE di William Friedkin; il maestro gioca nel terreno dei suoi figliocci, dai Coen a Tarantino, senza fare la figura del padre imbolsito, goffo e con il fiatone. Soggetti, tematiche, ambienti ed atmosfere già viste e riviste, è vero, ma poche volte con la stessa forza e la stessa incisività.
8)IL DITTATORE di Larry Charles; il potere beffardo e destabilizzante del comico è merce sempre più rara sul grande schermo, e Sacha Baron Cohen la rende ancora più preziosa. La costruzione narrativa tradizionale e l’addio al ‘mockumentary’ non tolgono mordente, anzi eliminano quella sensazione di eccessiva programmaticità e quel certo sospetto di furbizia che rovinavano il retrogusto dei suoi, pur ottimi, piatti precedenti.
9)MOONRISE KINGDOM di Wes Anderson; spesso chi vive in un mondo tutto suo capisce meglio di altri certe sfumature della realtà e il senso profondo di misteri come l’amore: i due dodicenni protagonisti ne sono un esempio, e ne è una conferma il cinema stravagante e stiloso di Wes Anderson, qui forse al punto più alto ed emozionante.
10)IL MUNDIAL DIMENTICATO di Lorenza Garzella e Filippo Macelloni; ispirato ad uno dei più bei racconti di Osvaldo Soriano, un mockumentary divertente e divertito; ma è anche un viaggio lungo la Storia, di cui riesce a cogliere l’essenza, non dimenticando la tragedia e sfiorando l’epica, proprio come accade nelle pagine dello scrittore argentino. Questo omaggio al gioco del calcio nella sua verosimile improbabilità diventa, come si dice, “più vero del vero”.

Tra le visioni più preziose, ci sono due cortometraggi d’animazione: anche in un’annata non sfiammante, la Pixar regala un gioiello: La Luna di Enrico Casarosa, poesia pura e gioia per gli occhi. Candidato all’Oscar e sconfitto in uno scontro d’alta quota da The fantastic flying books of Mr. Morris Lessmore di William Joyce, altrettanto splendido. Esclusi sul filo di lana, ma meritevoli di essere parte di questa top-ten il ritorno a livelli propri di Scorsese con Hugo Cabret, la conferma di Garrone con l’iperrealista all’occorrenza surreale come la realtà che racconta Reality e l’efficace esordio nel lungometraggio dei fratelli De Serio Sette opere di misericordia, una delle opere italiane più coraggiose degli ultimi anni.

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La top ten 2012 di Matteo Quadrini

Matteo Quadrini c'era una volta in anatolia

1) C’era una volta in Anatolia
2) Il primo uomo
3) Hunger
4) La guerra è dichiarata
5) Shame
6) Cosmopolis
7) Un sapore di ruggine ed ossa
8) Paradiso amaro
9) J. Edgar
10) Millennium. Uomini che odiano le donne

Sono convinto che questa lista potrà ragionare di cinema, solo se non si limiterà al gusto estetico di chi la compila. Non si può prescindere che stiamo parlando di cinema ma in pari modo di tempo, per cui guarderò il meglio del 2012 con due criteri. Il primo: la qualità e il suo contesto, tra crisi, escatologia e tecnologia. In un anno assai deludente, pochi i temerari che hanno risposto pensando al cinema e al presente. Ma sono tentativi non capolavori, perché, se lo fanno, non sanno trascendere il loro tempo, soprattutto cinematograficamente: secondo criterio. È un motivo che mi ossessiona, forse perché la letteratura pensa in secoli: ad esempio, è possibile che del periodo aureo del teatro europeo, il teatro elisabettiano, oggi soltanto Shakespeare resti Shakespeare? Solo pochi diventano un canone e resistono esteticamente al proprio tempo? Credo fortemente di sì, specie per il cinema. La critica può non ragionarci, ma rischia di vedere il cinema, anno dopo anno, come un bambino nella sua stanza: il bambino crescerà solo nel corpo e con i suoi oggetti, senza avere altri occhi, altri pensieri; e noi, pretenziosi di osservarlo solo così, saremo i colpevoli. O peggio: i contenti. Pochi i film che hanno soltanto provato a uscire da quella stanza. Fisicamente il piccolo Io e te; Cosmopolis, imperscrutabile più di tutti: è sul postmoderno ma quasi rifiuta il cinema postmoderno, film della mente ma, paradossalmente, è un’allegoria mondiale sulla crisi del capitalismo (quello che è il populista Pietà). Anche Bellocchio è stato ambizioso, con più umanità e minor genio. Ma sono i film di Ceylan e Amelio gli unici che hanno cercato di aprire il cerchio cinema. Chi li veda si prepari a due epiche: della terra desolata nel tempo, della memoria. Entrambi provano a rieducare lo sguardo cinematografico all’importanza del minimo che è sfuggito; il loro presente è inconcepibile, perché, senza memoria, abbiamo perso il contatto con l’Adamo che eravamo. Capitolo McQueen: i suoi film, piacciano o meno, captano la relazione violenta tra corpo e realtà storico-sociale, così creano esperienze estetiche provocatorie ma potentissime della vulnerabilità umana. Troppi gli incostanti, tuttavia con momenti straordinari, tra cui Un sapore di ruggine e ossa e J. Edgar (biografia storicamente fallimentare, ma, proprio perché sbaglia, diventa tragedia di un capo e la sua sessualità permette scene di grande teatro; il suo film più amletico?). Invece Payne ha capito che l’uomo e il cinema non sanno aggiungere più nulla sulla loro crisi irreversibile: l’unica saggezza rimasta allora è sfumare un dramma di questi limiti. Un raro vento – non una nouvelle vague – è La guerra è dichiarata: cronaca di una malattia infantile diventata espressione estetica di esperienza vissuta. E Millennium è un film impegnato degli anni ’70 (finale insegna) che ragiona sull’oggi e lavora con la modernità di un genere. Menzione positiva: Moonrise kingdom; volendo, Amour, Hugo Cabret. Sperando che il prossimo anno il bambino esca dalla stanza, che narri per sperimentare e sperimenti per narrare.

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La top ten 2012 di Carmen Spanò


Il cavaliere oscuro

1. Il cavaliere oscuro – Il ritorno -> Il lato oscuro del Bene, la fascinazione perversa del Male. Tra scie di luce e zone d’ombra, negli universi alterati e ingannevoli di Christopher Nolan, i miti si rifondano all’insegna di una devastante specularità, e la natura umana disvela l’essenza della propria poliedricità. Perché: vittime e insieme carnefici… non lo siamo forse tutti?
2. Un sapore di ruggine e ossa -> L’amore nei tempi e modi della fisicità: passionale, devastante, necessario, totalizzante. Un rapporto che si fa lotta e simbiosi di anime, valore ultimo -assoluto e vivificante- di esistenze “incapaci” di arrendersi alla sofferenza.
3. Millennium – Uomini che odiano le donne -> Il punto di vista diretto e affilatissimo di un maestro del cinema sulla violenza e le pulsioni umane che ne costituiscono la radice. Con un montaggio dal meccanismo interno perfetto, intriso di suspense e angoscia.
4. Cesare deve morire -> L’arte come via per la libertà e la (ri)scoperta di se stessi; il cinema come testimonianza etica della dignità imprescindibile che ogni vita merita per sé. Un regalo preziosissimo di due talentuosi fratelli al pensiero umano, fin troppo facile preda di svianti pregiudizi.
5. Diaz – Non pulire questo sangue -> La vergogna è un fiume rosso sangue che soffoca la giustizia e avvelena il rapporto con l’altro. Un viaggio visivamente traumatico nel buio di una notte incancellabile, tra diritti umani sventrati a suon di calci e pugni e abusi camuffati da strategica “azione preventiva”. Volutamente provocatorio, assolutamente necessario.
6. Cosmopolis -> La compenetrazione di carne e materia come metafora della follia moderna, come odissea di vite e parole destinate allo svilimento identitario e alla perdita. Con la crisi degli Anni Zero come cornice, uno sguardo chirurgico sull’invadenza tecnologica nei tessuti del sentire umano, che ha portato il presente a diventare pasto di un futuro strabordante e minaccioso.
7. Cogan – Killing Them Softly -> Non esistono più i killer di una volta. In un mondo “abnormal” sovraccarico di parole e idioti geniali, i cattivi si trasformano nelle parodie, grottesche e decadenti, di se stessi. E alla luce di una nuova consapevolezza, ci sbattono in faccia la verità sulla terra del tanto bramato dream: è mero calcolo affaristico, di sogni neanche l’ombra.
8. Argo -> Il cinema ci salverà. Dallo spettacolo crudele e beffardo nel quale la vita spesso si trasforma, dall’ottusità che innalza barriere ideologiche e religiose, dal biasimo suscitato da colpe vere e/o presunte. Ottima prova registica di Ben Affleck, che sceglie la suspense di matrice hitchcockiana come collante tra storie individuali e Grande Storia.
9. Killer Joe -> Si, la vita è tutto un business (spietato). Dubbi al riguardo? William Friedkin è pronto a chiarirvi le idee, confezionando un viaggio su misura che vi rivelerà il volto mostruoso della provincia americana. Con il “cavaliere nero” Matthew McConaughey, in un’interpretazione che vale una carriera.
10. Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato -> Un viaggio cinematografico aspettato per tanto tempo. Un ritorno alle origini voluto e accudito come un tesoro prezioso, tra ricostruzioni di mondi ritenuti infilmabili, passaggi narrativi dal respiro epico, personaggi digitali carichi di una sorprendente “umanità”. Ancora una volta nella Terra di Mezzo, dove fantasia e cinema si fondono all’insegna di tecnologia e immaginazione.

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La top ten 2012 di Alex Tribelli

Skyfall

1. 007 – Skyfall
2. Il cavaliere oscuro – Il ritorno
3. Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
4. Reality
5. Hugo Cabret
7. Argo
8. Cesare deve morire
9. Io e te
10. Iron Sky

Stilare una classifica di gradimento dei dieci migliori film dell’anno è compito arduo e difficile. Non è semplice, infatti, comparare tra loro i film attribuendogli una specifica posizione. Per questo, nel motivare la top ten, preferisco adottare un approccio più “orizzontale” raggruppando i film per tipologia e motivando perché meritano di entrare nelle dieci posizioni. Aggiungo che, nel selezionare i titoli all’interno del vasto panorama di scelte possibili, ho tenuto conto sia di gusti personali che di valutazioni oggettive. Da un lato, quindi, figurano film “commerciali” quali 007 – Skyfall, Il cavaliere oscuro – Il ritorno, Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato capaci di intrattenere intelligentemente lo spettatore ma, allo stesso tempo, impregnati di evidenti sfumature autoriali che permettono a queste opere di assumere un degno valore artistico. In fin dei conti, è soprattutto grazie a questi film che ci si appassiona di cinema. Dall’altro lato, invece, ci sono i film Reality, Bella addormentata, Cesare deve morire, Io e teche denotano un certo interesse verso il cinema italiano. In anni in cui la nostra cinematografia nazionale è in declino, rispetto alle numerose vette qualitative raggiunte dal dopoguerra agli anni Settanta del secolo scorso, sembra che qualcosa stia cambiando, anche se questi film, quasi tutti diretti da autori di quel cinema passato, non riscontrano più di tanto il favore del pubblico. Spetta, perciò, alla critica premiare queste opere. Infine ci sono tre titoli a se. Hugo Cabret, splendido omaggio a Georges Méliès e al cinema più in generale, non può che essere inserito proprio per questa motivazione. Del resto chi ama il cinema può capire. Argo che, in un certo senso, trae origine da quella straordinaria “stagione” cinematografica americana nota come New Hollywood che ci ha regalato capolavori indiscussi e amatissimi ancora oggi. Questo film, oltre a richiamarla, ne è in qualche modo una continuazione. Infine un titolo anomalo, Iron Sky. Sorprendente parodia extra-hollywoodiana che si fa beffe della politica globale e delle relazioni internazionali, non sarà un capolavoro ma certamente rappresenta un piccolo gioiello nel mare magnum dei film distribuiti quest’anno in Italia.

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La top ten 2012 di Giulia Zen


Amour
1. Amour di Michael Haneke
2. Marina Abramovic – The artist is present di Matthew Akers
3. Tutti i nostri desideri di Philippe Lioret
4. Quasi amici di Olivier Nakache, Eric Toledano
5. Hugo Cabret di Martin Scorsese
6. Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani
7. Reality di Matteo Garrone
8. Les invisibles di Sébastien Lifshitz
9. J. Edgar di Clint Eastwood
10. La talpa di Tomas Alfredson

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La top ten 2012 di Filippo Zoratti

Filippo-Zoratti-reality

1. REALITY di Matteo Garrone
2. IL SOSPETTO di Thomas Vinterberg
3. MARINA ABRAMOVIC. THE ARTIST IS PRESENT di Matthew Akers
4. KILLER JOE di William Friedkin
5. YOUNG ADULT di Jason Reitman
6. IL CAVALIERE OSCURO. IL RITORNO di Christopher Nolan
7. … E ORA PARLIAMO DI KEVIN di Lynne Ramsey
8. L’ARTE DI VINCERE di Bennett Miller
9. ARGO di Ben Affleck
10. J. EDGAR di Clint Eastwood

Il realismo ci salverà. Folgorato sulla via di Damasco eleggo miglior film del 2012 Reality di Matteo Garrone, straordinario film-epitaffio che ci inchioda alle nostre colpe di figli del tubo catodico, (video)assuefatti alla (tele)sovraesposizione mediatica. Come già accaduto quattro anni fa con Gomorra, Garrone ferisce lo sguardo e inquadra il reale come un’istantanea indiscutibile e “storica”. Una lancinante e lampante chiusura del cerchio, la definitiva presa di coscienza di come l’esistenza sia oramai divenuta uno show di cui ognuno è (volente o nolente) parte integrante. Ne sa qualcosa l’icona della body art Marina Abramovic, ripresa da Matthew Akers in The artist is present nella sua performance più estrema: rimanere seduta per otto ore al giorno, ospitando e fissando gli spettatori attoniti di fronte a lei. Accadeva al MoMA di New York, nel marzo del 2010: immobile per sei giorni alla settimana, muta ed essa stessa opera d’Arte da indagare, la Abramovic ha bloccato il tempo, ridandogli forma e significato solo attraverso la finitezza, il sacrificio e la fragilità del suo corpo. Essere è apparire, e a questa conclusione si può arrivare sia attraverso il genere puramente documentaristico che mediante una storia di finzione votata alla verosimiglianza. Il protagonista di Il sospetto di Thomas Vinterberg per una serie di assurde coincidenze appare come un mostro, e alla comunità benpensante e perbenista non serve altro per ostracizzarlo e ridurlo alla disperazione. Poco importa che la legge decida la sua innocenza: la sua vita sarà macchiata per sempre. Al contrario si muove lo stronzissimo personaggio interpretato da Charlize Theron in Young Adult: dietro alla copertura del trucco, delle pose e dell’ostentazione c’è il nulla, il vuoto pneumatico. C’è la negazione dell’età adulta, rinchiusa in un corpo che invecchia mentre la testa sbatte ostinatamente sul desiderio di restare per sempre giovane e sciroccata, incapace di intendere e volere. Il cortocircuito finzione/realtà non lascia scampo neppure agli eroi, del resto. Prendiamo il Cavaliere Oscuro: nella trilogia voluta da Christopher Nolan le prende di santa ragione, muore e rinasce, appende il mantello di Batman al chiodo e lo riprende per salvare prima di tutto il vero se stesso, Bruce Wayne. Ma soprattutto: si arrende all’evidenza della propria impotenza di fronte alla criminalità organizzata, salvo poi contemplare l’ipotesi di ricevere un aiuto per alimentare la propria forza. Non è più il tempo dei paladini solitari, ma continua ad essere quello dell’autorialità che si eleva al di sopra dei blockbuster senz’anima che infestano le prime posizione dei botteghini (servono nomi? No, non servono nomi). William Friedkin e Clint Eastwood, eccoli i granitici e imperturbabili eroi, mentre alle loro spalle si staglia inaspettata la figura di un nuovo cineasta che impara la lezione e lotta insieme a noi: Ben Affleck, confermatissimo con l’eccellente Argo. Anch’esso tratto da una storia vera, anch’esso ampia dimostrazione di come occorra muoversi assieme e lasciare da parte gli eroismi dei singoli, per raggiungere l’unico obiettivo possibile: imparare l’Arte di vincere.

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