SPECIALE MICHEL GONDRY
Il genio e il regista
La schiuma dei giorni, sia che si tratti del bellissimo romanzo di Boris Vian del 1947, sia che si parli del bel film di Michel Gondry, è prima di tutto una bellissima storia d’amore.
Ricordo le prime 20 pagine del libro come un insieme di suggestioni cacofoniche che sembravano non avere altro senso oltre alla loro sopravvivenza semantica; la stessa impressione l’ho avuta nei primi 20 minuti di film, pur essendo avveduto, pur conoscendo la materia letteraria e la carriera filmica di Gondry. Per questo penso che La schiuma dei giorni (scusate ma mi rifiuto di aggiungere quel Mood Indigo che fa tanto figo, tanto hipster e che non c’entra niente col film) sia un film da vedere con consapevolezza, non il classico divertissement da sabato sera dove si arriva alla cassa del multiplex di turno per chiedersi “e ora, cosa guardiamo?”. Bisogna aver voglia di vedere il film se si è letto il libro e bisogna aver voglia di leggere il libro se si è visto il film. Gondry aderisce al testo di Vian quasi nella sua interezza, mantenendo inalterati i meccanismi assurdi che regolano il mondo di Colin, Chloè e dei loro amici, come l’anguilla che si nasconde nei rubinetti per non farsi cucinare o l’amico topolino muto che vive in una casa nella casa dentro l’appartamento di Colin. Superati i primi venti minuti, o le prime venti pagine, la parabola del loro amore inizia il suo percorso ascendente costellato di dolcezza e spensierata felicità: un arcobaleno di emozioni visive che Gondry descrive attraverso tutti i mezzi artigianali a lui cari, dallo stop motion al blue screen, avvolgendoci con l’ondulata perfezione della sua regia. All’apice della parabola Chloé, non quella arrangiata da Duke Ellington, si ammala per una ninfea che le consuma un polmone: immagine di devastante potenza che riesce a stare perfettamente in equilibrio fra la realtà, il tumore e la fantasia. I colori cambiano, si fanno prima seppia e poi sempre più scuri fino a oltrepassare il bianco e nero contemporaneo cercando di ritornare alle origini, alle scale di grigi dei film di inizio Novecento. La malattia di Chloé cambia il mondo attorno ai personaggi, lo piega al suo dolore: dal fanciullino pascoliano che dà il nome alle cose per la prima volta si passa ad immagini céliniane di devastazione e sofferenza: un mondo che da utopico diventa distopico, dove il filosofo Jean-Saul Partre da idolo diventa comune vittima dei tempi che corrono e della società che cambia, segnata dalla guerra. Ma prima di tutto questa è una storia d’amore, una delle più struggenti mai scritte, che Gondry giustamente non stravolge, scegliendo di interpretare al meglio la follia di Vian assieme allo sceneggiatore Luc Bossi, trasformandosi in umile megafono delle sue invenzioni, mettendosi a disposizione del suo genio. Nessun altro avrebbe potuto raccontare meglio questa storia.
Mood Indigo – La schiuma dei giorni [L’écume des jours, Francia 2013] REGIA Michel Gondry.
CAST Romain Duris, Audrey Tautou, Gad Elmaleh, Omar Sy, Aïssa Maïga, Michel Gondry.
SCENEGGIATURA Luc Bossi (tratta dall’omonimo romanzo di Boris Vian). FOTOGRAFIA Christophe Beaucarne. MUSICHE Étienne Charry.
Drammatico, durata 125 minuti.