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Too Much Johnson (1938)

sabato 12 Ottobre, 2013 | di Andrea Moschioni Fioretti
Too Much Johnson (1938)
Festival
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Voto autore:

Le Giornate del Cinema Muto, 5-12 ottobre 2013, Pordenone

Too much
La storia del cinema è zeppa di aneddoti, storie e racconti incredibili, come incredibile è stato il ritrovamento di Too Much Johnson, pellicola perduta di Orson Welles. La vicenda ormai è nota. I magazzini di Cinemazero di Pordenone hanno regalato al pubblico di oggi quello che sembrava fosse un film persa del grande regista americano: un oggetto difficile da recensire o meglio difficile da affrontare perché troppo importante.

La pacata voce di Paolo Cherchi Usai ci accompagna in questo viaggio, sì, perché di viaggio si parla durante la visione di Too Much Johnson, un viaggio nella ricostruzione di un film-non film imperfetto ma di grande spessore cinematografico e documentario. Usai accompagna le immagini con aneddoti sul ritrovamento e sul lavoro di restauro, infarcendo il tutto con ipotesi e certezze sui luoghi e sui momenti delle riprese.mediacritica_too-much-johnson L’esordio di Welles non ha una vera e propria trama, era stato pensato infatti per accompagnare l’opera teatrale omonima di William Gillette, che parlava di tradimenti ed equivoci, ma soprattutto è una copia lavoro con tanto di ciak e riprese ripetute. L’evento regalato dalle Giornate del Cinema Muto passerà alla Storia e, parlando con chi ha avuto la mia stessa fortuna, abbatte ogni tipo di dubbio sul dibattito di divulgazione di un prodotto incompiuto e dimenticato e forse non necessario in chiave di recupero. Too Much Johnson è un vero documento storico che emoziona fin dalle prime scene: in esso c’è tanto, troppo, per una pellicola non destinata al cinema, una farsa “girata alla vecchia maniera” (il film è muto soprattutto nella messa in scena nonostante sia del 1938) con lampi di regia che Welles dimostrerà in seguito di saper maneggiare al meglio. Welles cita Preferisco l’ascensore! di Lloyd, utilizza movimenti di macchina particolari, costruisce la scena con una maniacale perfezione sia per quanto riguarda gli oggetti inanimati sia per i protagonisti e le comparse (magnifiche le sequenze dell’inseguimento sui tetti dei palazzi). Il lavoro finale sa di finta improvvisazione, con alcune riprese che documentano i passanti che spiano le scene, ma è impressionante notare la qualità delle immagini, non manipolate, volutamente, dal restauro ma rimaste quasi perfette se non per un solo rullo rovinato dal tempo. È come se adesso i tempi fossero maturi e il film avesse bramato di farsi ritrovare, per dimostrare, in un momento di crisi globale del cinema, che dal cinema ancora vogliamo farci sorprendere. Personalmente sono entusiasta, perché ho vissuto negli scorsi giorni una nuova epifania, forse ingenua ma sentitamente vera, per il cinema: l’emozione che ho provato è stata la stessa dopo la visione di Gravity di Cuaròn. Chi è riuscito a filmare l’infilmabile utilizzando un mezzo rimodernato come il 3D e chi ancora oggi riesce a sorprendere con una pellicola monca che guardava ai mezzi del suo recente passato. Questa è l’Arte cinematografica, a noi non resta che farci ancora stupire.

Too Much Johnson [id., USA 1938, copia lavoro] REGIA Orson Welles.
CAST Virginia Nicholson, Guy Kigsley, Eustace Wyatt, Arlene Francis, Joseph Cotten, Herbert Drake.
SCENEGGIATURA Orson Welles (tratta dall’omonima pièce di William Gillette). FOTOGRAFIA Paul Dunbar, Harry Dunham.
Commedia, durata 66 minuti.

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