È fatta. Zalone ha superato se stesso, nel senso tecnico del termine. Con lo scorso weekend, ha battuto il proprio record e veleggia verso i 50 milioni di euro di incasso. Qualcuno si sorprende, ma solamente chi non capisce come ci stiamo conformando alla logica dei film-evento. Già i blockbuster americani, da molto tempo, concepiscono il prodotto come un evento. Massimalizzano gli incassi, con record che cadono ogni volta, ma spolpano il cinema medio, che pure avrebbe ancora qualcosa da dire e da dare, e ormai è migrato nel grande “calderone” del drama televisivo (peraltro ottimo).
In Italia, dove la commedia continua a dominare (proprio quando qualche tempo fa la stavamo dando per morta), fa specie – ben più del solido e divertente Sole a catinelle – il destino economico tutto sommato accettabile di bufale come Aspirante vedovo o Stai lontana da me. Il resto non esiste, e vive di una grande, enorme nicchia che ha parificato un po’ tutti gli altri prodotti.
In effetti, il problema del film-evento è proprio questo: si deprime l’idea di cinema come lenta, costante, affidabile fonte di intrattenimento. Il circuito virtuoso per il quale chi esce di casa per vedere Zalone è poi invogliato a tornare in sala due settimane dopo per un altro film, è tramontato. E non è un caso che tutte quelle opere (balletti, concerti, sport, documentari, animazione, sedicenti cult movies ecc.), proiettate al lunedì o al martedì non festivi per rimpinguare le casse, facciano riferimento ossessivo al termine “evento”, programmato “solo per un giorno” o “solo oggi e domani”, e cerchino di stimolare comportamenti ritualistici e comunitari, al limite del cosplay.
Ora, lungi dal sottoscritto fare tirate moralistiche su come si muove il mercato (altrimenti non avremmo avuto il sonoro, il colore e così via), tuttavia qualche dubbio forse ce lo si dovrebbe porre. Forse ha ragione Spielberg, quando prevede per il futuro una fruizione di sala di altissimo livello, quasi da opera lirica, e un consumo di film ampio e orizzontale sul web e in streaming.
In fondo, si tratta sempre di costi e ricavi. Quanto ci vuole a realizzare un film e quanto torna indietro. Questo è ancora il vero problema, in Italia. Troppo tempo e troppi soldi per produrre anche un piccolo film indipendente e troppo pochi i denari che rientrano, tra scarsa affluenza di pubblico e introiti assorbiti da altri attori in gioco (molto i distributori, un po’ gli esercenti, i fornitori, le tasse, e così via). Negli Stati Uniti si è cominciato, forse, a reagire, abbassando drasticamente i costi e lavorando su narrazione, generi forti, studio dei trend e distribuzione (pensiamo alla Blumhouse Productions della serie Insidious o a film come La notte del giudizio, con rapporto costi/ricavi da lasciare a bocca aperta). In Italia… aspettiamo, come del resto tutto il mondo del lavoro e della creatività, schiacciato dalla crisi senza fine.